Fonte dell’articolo silvestrini.org
Il digiuno, per noi, credenti in Cristo, è un gesto penitenziale e di espiazione, scandito da precisi momenti liturgici e affidato alla generosità dei singoli. Digiunando intendiamo partecipare personalmente e comunitariamente alle sofferenze di Cristo per aggiungere quello che in noi manca alla sua passione. Digiuniamo anche per allenare il nostro spirito alle scelte migliori e ai decisi rifiuti delle tentazioni. Nei momenti di gioia siamo sollecitati ad esprimere tutta la nostra partecipazione: dobbiamo rallegrarci nel Signore per la sua presenza viva, per la sua risurrezione, per i suoi doni e le sue grazie. Quando lo Sposo è presente e la festa delle nozze è in atto, noi, come invitati, dobbiamo doverosamente rallegrarci nel Signore. Non può essere quello il tempo del digiuno. La festa cristiana ha le sue preminenti motivazioni nella fede e mai soltanto negli eventi umani. La liturgia, quando è intensamente vissuta, ci unisce alla festa perenne del cielo facendoci ripercorrere i momenti della storia della nostra salvezza. Così accade che gioia e dolore, festa e lutto scandiscono la nostra vita fino all’approdo fanale, alle nozze eterne, alla pasqua finale, dove «Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». Gli apostoli sono con lo Sposo, con Cristo e non possono e non debbono digiunare. Verrà anche per loro il momento della passione, della croce e allora lo sposo scomparirà dai loro occhi. Allora avranno sì, motivo di digiunare e di rattristarsi.