Se Gesù è morto sulla croce per espiare i nostri peccati, a cosa servo…

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Fonte dell’articolo Amici Domenicani – Autore Padre Angelo Bellon op.

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Quesito

Caro Padre Angelo,
La ringrazio molto per il tempo che ha trovato per rispondere ai miei auguri.
Ne approfitto per farLe una domanda alla quale potrà tranquillamente rispondermi terminate le feste, quando ne avrà il tempo.
La questione è probabilmente piuttosto elementare per la nostra Fede cattolica, ma purtroppo non vi ho ancora trovato una risposta chiara.
Ecco la domanda: se Gesù è morto sulla croce per espiare i nostri peccati, a cosa servono le nostre opere? Certo agire in conformità con quello in cui crediamo è giusto e necessario per una coerente vita cristiana; ma perché dovrebbero essere le nostre opere a garantirci la salvezza, se questa ci è già stata data dal Signore grazie al suo sacrificio?
Non mi fraintenda, non ho alcuna intenzione di appoggiare false credenze luterane, ma questo è un dubbio al quale non sono ancora riuscito a dare soluzione.
La ringrazio ancora per il Suo tempo e rinnovo gli auguri pasquali
Matteo


Risposta del sacerdote

Caro Matteo, 
1. con la sua passione Cristo ha attuato la nostra redenzione che non consiste semplicemente nell’eliminazione dei peccati, che è già una grande cosa, ma anche nella santificazione dell’anima.
Questa duplice azione di Cristo in gergo biblico corrisponde alla giustificazione di cui parla San Paolo.

2. La sola eliminazione del peccato non unisce ancora Dio con vincolo soprannaturale, ma lascia la creatura nel suo stato di creatura.
Di fatto noi veniamo uniti a Dio solo mediante la carità.
San Giovanni dice: “Dio è amore (carità); chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4,16).
Per questo San Paolo dice: “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla” (1 Cor 13,1-2).

3. La fede, come ogni conoscenza, attua un’unione soltanto conoscitiva o intenzionale, come dicono i filosofi.
La carità invece, proprio perché è amore, desidera e attua l’unione con la realtà amata.
Solo con l’amore soprannaturale, e cioè mediante la carità, Dio abita personalmente in noi e noi abitiamo in Dio.
È solo mediante la carità che noi ci congiungiamo realmente con Cristo e portiamo nella nostra vita la sua redenzione che elimina ogni peccato e comunica ogni santificazione.
Certo, con la redenzione di Cristo è stato espiato ogni peccato.
Ma perché la redenzione di Cristo ci raggiunga effettivamente è necessario aprirsi a lui mediante la fede e la carità.

4. Un esempio può aiutarci a comprendere in quale maniera Cristo ha espiato tutti i nostri peccati e ci ha portato la redenzione.
Supponiamo che noi siamo chiusi in un’abitazione e stiamo morendo di fame. Qualcuno, sapendo della nostra condizione, deposita nel giardino ogni ben di Dio. Ma finché noi rimaniamo chiusi in casa e non ci congiungiamo effettivamente con quegli alimenti, moriamo di fame e il soccorso apportatoci diventa inutile.
Analogamente, se non ci appropriamo dei meriti della redenzione “rendiamo vana la croce di Cristo” (1 Cor 1,17). In altre parole, rendiamo vano per noi il bene preziosissimo la redenzione.
Per questo Cristo ha detto: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato” (Gv 8,21) e “vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati” (Gv 8,24).
Cristo è morto anche per le persone cui ha rivolto tali parole.
Se queste persone non hanno voluto appropriarsi dei benefici della sua redenzione sono morte nei loro peccati. Il che significa che nonostante la redenzione di Cristo sono andate all’inferno.

5. Come dicevo all’inizio della risposta, la redenzione di Cristo non ci ha soltanto liberati dalla schiavitù del peccato e del demonio, ma ci ha riconciliati con Dio: “Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo” (Rm 5,10).
Tale riconciliazione e comunione di vita viene attuata attraverso la fede e la carità.
Non basta la fede da sola, perché quando è separata dalla carità a motivo del peccato mortale non unisce realmente a Dio.
San Tommaso osserva che “i dannati” conservano la fede ma non hanno la carità e pertanto “non avendo un simile contatto con la passione di Cristo non possono conseguirne gli effetti” (Somma teologica, III, 49, 3, ad 1).

6. Gesù distingue tra fede inoperante e fede operante. E dice che vi è una fede incapace di salvare: “Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
E ancora: “Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore non abbiamo noi profetato nel tuo nome… cacciato demoni… e fatto prodigi nel tuo nome?”. Io però dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità»” (Mt 7,22-23).

7. Quando gli Apostoli dicono che la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa” (Gc 2,17) o che “la fede opera per mezzo della carità” (Gal 5,6) non fanno altro che ricordare quanto ha detto il Signore.
E quando San Paolo dice che la salvezza viene dalla fede e non dalle opere sottintende le opere della legge dell’Antico Testamento, quali la circoncisione, i riti purificatori, la celebrazione delle feste…
Come del resto anche per noi la sola osservanza esteriore dei precetti della Chiesa non è sufficiente per la salvezza. È necessaria la grazia, che comporta l’eliminazione del peccato e dell’affetto al peccato.

8. Infine Cristo ci salva non soltanto donando la grazia, ma attivandola.
La attiva stimolando la preghiera, la frequentazione dei sacramenti, l’osservanza della legge di Dio, il compimento delle opere buone e completando nella nostra carne ciò che manca ai suoi patimenti a favore del suo corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24).
In tal modo ci appropriamo sempre di più della redenzione di Cristo, morendo all’uomo vecchio e crescendo in quello nuovo.

Con l’augurio che tu ti appropri sempre di più della redenzione di Cristo, ti benedico e ti ricordo volentieri nella preghiera.
Padre Angelo

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P.Angelo Bellon op, docente di teologia morale.