Se ci sia peccato nel comprare oggetti costosi, se sia peccato aver pa…

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Fonte dell’articolo Amici Domenicani – Autore Padre Angelo Bellon op.

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Quesito

Salve,
vorrei chiederle in questa e-mail se può rispondere ad alcune mie domande di curiosità. Una tra queste è però per un mio amico, in quanto io e lui sosteniamo due tesi differenti su un argomento di cui non sappiamo molto. La ringrazio in anticipo per tutto l’aiuto che mi ha dato nelle precedenti e-mail, adesso ho le idee molto più chiare.
1. (Domanda per il mio amico) Quando si sfocia nel peccato con le cose materiali? Comprare molto di un determinato tipo di oggetti è peccato? Io credo di sì, ma il mio amico sostiene che secondo lui se agli oggetti non siamo troppo attaccati e non ci fanno allontanare da Dio non sono peccato.
2. Avere paura è peccato? Se la risposta è sì, in quali casi è mortale? (preciso che i requisiti che fanno essere mortale un peccato li so già)
3. Dopo una Confessione, il confessore può diffondere senza il nostro consenso i peccati commessi? Personalmente credo di no, ma nel caso la risposta fosse sì in quali situazioni il confessore può farlo?
4. Quando il danno fatto con un peccato è lieve oppure è una cosa che non importa più a colui che è stato danneggiato, occorre ripararlo nella Penitenza o si può lasciar perdere? Ad esempio se una persona ruba una caramella, deve restituirla oppure no?
La ringrazio ancora per le precedenti e-mail, mi è stato di grande aiuto.
Pregherò anche per lei nelle mie preghiere.
Matteo


Risposta del sacerdote

Caro Matteo,
solo oggi sono giunto alla tua mail di quasi un anno fa. Mi dispiace e te ne domando scusa.
Vengo ora a rispondere alle tue singole domande.

1. Circa la prima: sebbene la domanda sia un po’ generica, posso dire che vi è peccato in due casi.
Il primo: quando evidentemente si tratta di uno spreco, mentre con quei soldi si poteva fare un sacco di bene.
In secondo luogo, quando vi si attacca troppo il cuore, facendone la ragion d’essere del proprio orgoglio o della propria vita.
Sant’Agostino diceva che “l’avarizia non è vizio dell’oro ma vizio dell’uomo che ama perversamente l’oro, cioè dimenticando le regole della giustizia” (De Civitate Dei, 12,8).
Come vedi, in parte hai ragione tu e in parte ha ragione il tuo amico.

2. Aver paura di per sé non è un peccato perché si tratta di un’emozione che sopravviene indipendentemente dalla nostra volontà.
I teologi dicono che si tratta di una passione, e cioè di un sentimento subìto.
Aver paura, ad esempio, di un esame, di un intervento chirurgico o di un incidente stradale non è motivo di peccato. Si tratta di un sentimento naturale che sgorga dal timore di un male incombente per noi o per i nostri cari.
Tuttavia dal momento che siamo chiamati ad essere signori anche delle nostre emozioni, possiamo dire che c’è peccato quando abbiamo paura di ciò di cui non ne dovremmo avere, oppure per il disprezzo della prudenza.
Ad esempio, può essere peccaminosa la paura di mostrarsi come cristiani, di fare il segno della croce, di andare a Messa, di fare la Santa Comunione, di confessarsi…
Ugualmente può essere peccaminoso non aver alcun timore di disprezzare tutte le regole perché si è troppo sicuri di se stessi, mentre si mette a repentaglio la propria vita e anche quella degli altri. I teologi in questo caso parlerebbero di temerarietà.

3. Mi chiedi poi quando il confessore può rivelare i peccati sentiti in confessione senza il consenso del soggetto.
Ebbene, il sacerdote non può mai e poi mai rivelare i peccati sentiti in confessione. Si tratta di un segreto divino.
Quanto ha sentito, non può rivelarlo a nessuno, per nessun motivo, neanche al Papa, neanche se glielo si imponesse sotto pena di morte.
Qualora lo facesse compirebbe un gravissimo sacrilegio.
È un dovere così stringente che il sacerdote deve essere disposto piuttosto a dare la vita che a trasgredirlo anche solo parzialmente.
Il motivo è che quello che viene a conoscere in confessione, non lo conosce in quanto è un uomo, ma in quanto fa le veci di Dio. Anzi, in quanto in quel momento si identifica con Dio. Si dice infatti giustamente che in quel momento agisce in persona Christi, essendo una cosa sola con Gesù Cristo.

4. Per l’ultima domanda: giustamente va detto che non sempre il danno causato a beni altrui costituisce un peccato, come ad esempio quando si rompe accidentalmente una cosa che ci è stata imprestata. 
Ciò non di meno è necessario riparare il danno.
Quando tuttavia il danno è irrisorio oppure quando la restituzione causa un male più grave del danno irrisorio compiuto, si può lasciare perdere e riparare in altro modo, come ad esempio nel fare un’elemosina.

Ti ringrazio per la pazienza nell’attendere, ti prometto un ricordo particolare nella Santa Messa che tra breve celebrerò e ti benedico.
Padre Angelo

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P.Angelo Bellon op, docente di teologia morale.