Guarire dall’ingratitudine e dalla irriconoscenza è molto più difficile che guarire dalla lebbra e dalle malattie. Guariti, ma non salvati, liberati dalla morte, ma non vivi, nuovamente normali, ma non nuovi.
Spesso vogliamo un Dio che scenda a soffiarci il naso o a legarci le scarpe, ma lo teniamo ben al di fuori dalla nostra vita e dalle nostre scelte. Lo vogliamo, questo Dio, che intervenga sulla nostra pelle, ma lo allontaniamo quando cerca di intervenire nel nostro cuore.
Quante volte mi sento uno dei nove: guarito, liberato, riabilitato dall’amore gratuito di Dio, ma se non apro il cuore alla salvezza e alla novità della vita non entrerò mai in quella comunione di amore col Cristo, che non cessa mai di chiamarmi.
E’ l’esperienza dell’Eucarestia, il mio ritorno a Gesù e il mio ringraziamento e riconoscenza. “Ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele”, dice Naaman il Siro nella prima lettura. Passa dalla guarigione alla fede, come il lebbroso del Vangelo che ritorna e loda a gran voce il miracolo, che oltre alla guarigione, gli ha aperto gli occhi alla conoscenza e alla comunione con Gesù. E’ la fede nella persona del Cristo che ci fa dei salvati, vivi e nuovi.
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