La famiglia nelle sue varie sfaccettature e complessità è stato il centro di questo Sinodo, iniziato l’anno scorso nella prima tranche il 09.12.2014 e nella seconda tra il 4-25 ottobre 2015 per la XIV Assemblea Generale Ordinaria: la vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
Tema conclusosi nella Relazione Finale avere suscitato non poche polemiche e divergenze, sia tra i media che tra i fedeli, creando molto disorientamento.
Da sabato sera ad oggi si sono lette, da parte della stampa, interpretazioni discordanti sull’epilogo del Sinodo: Comunione sì o Comunione no ai divorziati risposati?
Giornalisti che, come commedianti, accusano Papa Francesco nel discorso a conclusione del Sinodo dei Vescovi, nonché nell’omelia dell’Angelus del 25 ottobre scorso, di volersi accreditare attraverso i media una vittoria sul Sinodo. Questa osservazione è pura dietrologia lavorare per le schiere politiche, al fine di distorcere il senso dei contenuti pronunciati.
Per di più, anche sui social-network, qualche presbitero detrattore di Papa Francesco ha ulteriormente fomentato tali schieramenti dei media, che mi permette una speculativa analisi: nei primi giorni del Sinodo 2015 viene attribuita al Pontefice e ai Vescovi sinodali l’intenzione di compromettere la dottrina, poi tale temerarietà viene smentita ricordando il Sinodo organo consultivo che coadiuva il Papa da non porre alla stessa stregua del Magistero.
L’opportunismo dei giornalisti, finanche l’imprudenza di certi Ministri di Dio, ritrae la Babele in cui una certa frangia di Chiesa è finita.
In un mio precedente articolo, proprio all’inizio della seconda tranche del Sinodo 2015, dichiarai che nei documenti non si profilava in alcun modo la volontà di contraffare la dottrina in favore dei divorziati risposati, ma solamente l’esame di un cammino penitenziale per loro da parte del Vescovo diocesano ed, eventualmente, il Sacramento dell’Eucarestia se fossero state rispettate determinate condizioni:
https://www.lodeate.it/chiarimenti-sulla-relatio-finalis-del-sinodo-2014/
Dunque, l’enigma della Comunione ai divorziati risposati va steso sull’analisi dei punti 84, 85 e 86 del Capitolo III, Famiglia e accompagnamento pastorale della Relazione Finale del Sinodo.
Compendio che include il ricorso al discernimento, esso davanti alla pedagogia dottrinale e ai parametri proposti da San Giovanni Paolo II, per accogliere queste famiglie ferite che dovranno affidarsi alla consapevolezza della direzione della Chiesa. Pertanto, non si fa alcun cenno eloquente del Sacramento eucaristico per loro:
Discernimento e integrazione
- I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità.
- San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.
Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi.
- Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa.
Synod15 – Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco (24 ottobre 2015), 24.10.2015:
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Deborah Cotrufo