Fonte dell’articolo mauroleonardi.it
28 marzo
Un sabato un po’ più tranquillo.
Nel pomeriggio posso dedicarmi ancora con mia figlia piccola alla ricerca sull’Abruzzo: non posso negare che questo è un modo per me per divertirmi veramente perché cercare di informarmi su luoghi della nostra bella Italia per me è il massimo del divertimento se poi sono luoghi che ho già visitato o che comunque vorrei di nuovo visitare è fatta.
Cerco di prepararmi un futuro viaggio. In questo momento è sicuramente per me tanto tanto ossigeno e mi consente di ricaricarmi veramente.
Ho poi una videochiamata programmata con colleghi delle RSA (Residenza sanitaria assistenziale, ovvero una casa di riposo) in cui lavoravo anche io anche se per poche ore la settimana.
Questa video chiamata però è perché dalla prossima settimana partirà un reparto covid-19. Questo significa che arriveranno dagli ospedali pazienti che hanno bisogno ancora di un periodo di quarantena prima di rientrare a domicilio oppure potranno capitare casi anche di pazienti molto brutti: anziani per i quali ci si aspetta solo il peggio. Io ho accettato di essere uno dei due medici che entreranno in questo reparto super “blindato”.
Quando il lavoro rallenta un po’ devo dire che si aprono le riflessioni un po’ più a freddo e devo dire che, in questi giorni, una cosa che mi ha fatto male – e che cerco di non fissarmi nella mente e nel cuore ma di mandar via prontamente – è vedere quanto alcune persone tengano comunque ancora all’apparire e al potere. Io però confido sempre e vedo che davvero tante persone, volontari medici infermieri, assistenti sociosanitari, addetti alle pulizie, trasportatori, e tante altre figure professionali, stanno dando l’anima e il corpo, in silenzio, senza battere i pugni o senza alzare la voce – anche quando ne avrebbero tutto il diritto – per l’altro, per il fratello: viene naturale, spontaneo, scontato, senza bisogno di fare nessun ragionamento e nessuna fatica: salvo quella fisica e quella dell’animo molto provato e sofferente.
Qui c’è gente che è felice di poter fare quello che fa. E nonostante tutto, mentre in cuor suo chiede al Padre Eterno di fermare questa pandemia, lo ringrazia di poter essere un po’ utile, di poter mettere a frutto il proprio mestiere: la solita, non scontata, ma unica (perché mia) piccola goccia nell’Oceano.
29.03
Altri due anziani deceduti.
E i tre miei pazienti giovani al domicilio oggi hanno avuto un peggioramento e il mio morale scende.
Mi stavo rileggendo il grande Grossman, uno dei miei autori preferiti: “che tu sia per me il coltello”.
Lui che tanto ha sofferto per il figlio, per il suo popolo, per la sua Terra.
Lui che sa, anche in questi giorni, in poche parole, mettere profondamente a nudo la nostra attuale realtà.
Sono davvero giù di corda e allora ne approfitto per fare ciò che mi ricarica: due passi nel prato per andare a vedere quanto si sono schiusi i fiori del susino selvatico che mi stanno facendo tanta compagnia in questi giorni: loro stanno andando avanti, imperterriti, verso la vita, alla ricerca del sole. Non si fermano, non si arrendono, e allora a me danno forza, infondono coraggio e mi sento meglio: stupirmi come una bambina di fronte alla natura, ad un fiore che sboccia o ad un tramonto è un’esperienza che mi ricarica tantissimo.
Come il tramonto che vedete in foto: erano i giorni in cui stavo davvero male, avevo la febbre per cui lo vedevo dalla finestra ma non avevo le forze in quel momento per alzarmi e andare a scattare foto per cui chiesi a mia figlia di farlo per me.
Chiudo con una battuta che mi fa ridere: come hanno detto alcuni psichiatri, in questo periodo, possiamo parlare con le piante, i muri, con qualsiasi oggetto ma non dobbiamo rivolgerci a loro: solo qualora questi oggetti ci dovessero rispondere!