Fonte dell’articolo Amici Domenicani – Autore Padre Angelo Bellon op.
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Quesito
Caro Padre Angelo,
Sono una ragazza di 24 anni e vorrei porle dei quesiti. Ho fatto una piccola riflessione sul famoso passo di Efesini 5, e vorrei chiederle se potrei adottarla come convinzione personale senza incorrere in errore, ed eventualmente condividerla con gli amici – sottolineando ovviamente che si tratta di un mio pensiero – senza rischio di andare contro gli insegnamenti della Chiesa. Gliela propongo qui di seguito:
“Il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa” (Ef 5,23). Ma se Cristo ha conferito alla Chiesa ogni potere e autorità, ossia quello di legare e sciogliere sulla terra e in cielo (Mt 16,19), Egli le ha dunque conferito la sua “capità”. Così l’autorità della Chiesa si identifica con l’autorità di Cristo, la “capità” della Chiesa con la “capità” di Cristo, e così la “capità” del marito diventa anche la “capità” della moglie, ossia i due condividono la stessa autorità, lo stesso “essere capo”. Al tempo stesso entrambi sono corpo: la Chiesa è corpo mistico di Cristo, così come la moglie è detta corpo del marito. Tuttavia anche Cristo si è fatto corpo della Chiesa, innanzitutto nell’incarnazione, poi nel corpo donato nell’Eucaristia ad essa (Mt 26,26); si identifica inoltre nel corpo di coloro che soffrono (Col 1,24). Cristo non è solo capo, ma anche corpo offerto alla Chiesa, così come il marito diviene corpo offerto alla moglie e della moglie (1Cor7,4). Il marito dunque è corpo della moglie e lei capo del marito, così come la moglie è corpo del marito e lui il capo della moglie. Giovanni Paolo II ha detto nella Mulieris Dignitatem “l’analogia implica insieme una somiglianza, lasciando un margine adeguato di non-somiglianza”; dunque se Cristo ha dato alla Sposa ogni autorità sulla terra, seconda solo alla sua – per via della sua divinità -, alla moglie è data ogni autorità del marito in egual modo, essendo assente nel marito la divinità di Cristo, e dunque anch’egli le deve uguale obbedienza e sottomissione nella carità (Ef 5, 21). Allo stesso modo anche le mogli devono amare i mariti come Cristo ha amato la Chiesa.
Le altre mie domande sono:
1) In che “categoria” rientrano gli insegnamenti del magistero riguardo gli sposi? Forse dottrina sociale?
2) Quando nella Casti Connubi Pio XI scrive “Quanto poi al grado ed al modo di questa soggezione della moglie al marito, essa può essere diversa secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l’uomo viene meno al suo dovere, appartiene alla moglie supplirvi nella direzione della famiglia. Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge da Dio fermamente stabilita” la parte in grassetto è da intendersi come insegnamento ex cathedra, una verità di fede o un’interpretazione che può essere modificata?
3) Un sacerdote su Youtube che stimo molto ha parlato della potenza della benedizione paterna. Tuttavia ne parlava attribuendola particolarmente al padre, e non alla madre. Questo rifletterebbe una visione gerarchica della famiglia, che non mi sento di condividere, come se uno avesse più potere/autorità dell’altro; ho visto che nel benedizionale romano il rito della benedizione domestica dei figli prevede che a celebrarlo siano entrambi i genitori; sono quindi personalmente convinta che la benedizione materna sia ugualmente potente come quella paterna. È corretto?
4) Le leggi canoniche di validità del matrimonio sono retroattive nella storia? Ad es. un matrimonio forzato o sotto ricatto oggi è nullo, ma per es. Santa Rita da Cascia ha avuto un matrimonio del genere. Nel suo caso era già nullo allora, oppure era valido perché le leggi canoniche dell’epoca non prevedevano questo caso?
Mi rendo contro che sono tante domande sostanziose, si prenda pure tutto il tempo che le serve, non ho alcuna fretta.
Non potrò mai smettere di ringraziarla per il lavoro e il bene che fa con questa piattaforma
Buon Natale,
Silvia
Risposta del sacerdote
Cara Silvia,
1. mi complimento anzitutto per la riflessione che hai fatto sulla reciprocità del dono e sull’uguaglianza o anche dell’essere capo (che tu chiami “capità”) tra marito e moglie.
La fai derivare da Cristo nel suo rapporto con la Chiesa, sottolineando giustamente che si tratta di analogia, e che quindi non va applicato nel medesimo modo.
Tuttavia, per quanto encomiabile sia il tuo tentativo, non so se si possa sostenere senza fare delle legittime obiezioni.
Infatti, come tu stessa hai annotato:” dunque se Cristo ha dato alla Sposa ogni autorità sulla terra, seconda solo alla sua – per via della sua divinità -, alla moglie è data ogni autorità del marito in egual modo, essendo assente nel marito la divinità di Cristo“, la potestà o “capità” della Chiesa rimane sempre una potestà derivata da Cristo.
2. Applicando questa affermazione al consorzio familiare, la potestà della moglie rimane sempre una potestà donata, ma non originaria.
È vero che il marito le concede tutto e le concede anche il potere pieno su di sé.
Tuttavia tale potestà nella moglie sarebbe presente come dono, mentre nel marito è presente come sorgente.
Per cui la disuguaglianza rimane.
3. Pertanto sulle parole di San Paolo in Efesini 2,23 io mi atterrei di più a quanto ha scritto Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem. Dice infatti che l’autore di questa lettera “sa che questa impostazione, tanto profondamente radicata nel costume e nella tradizione religiosa del tempo, deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una «sottomissione reciproca nel timore di Cristo» (cf. Ef 5, 21); tanto più che il marito è detto «capo» della moglie come Cristo è capo della Chiesa, e lo è al fine di dare «se stesso per lei» (Ef 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita. Ma, mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la «sottomissione» non è unilaterale, bensì reciproca!” (MD 24).
4. Dicendo “tanto profondamente radicata nel costume e nella tradizione religiosa del tempo” riconosce innegabilmente che parlare di sottomissione della moglie al marito è un dato legato al costume e alla tradizione religiosa del tempo.
La novità che San Paolo introduce invece è quella del versetto 22: “State sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo”.
Qui viene affermata l’uguaglianza perché la sottomissione è reciproca.
Se nel testo sacro il marito – secondo la mentalità del tempo – è considerato capo della moglie, lo è solo in analogia a Cristo al fine di dare se stesso per lei, perfino la propria vita. Come del resto la moglie deve fare nei confronti del marito.
5. Sulle successive domande che hai posto, ecco la risposta:
Il Magistero della Chiesa sugli sposi appartiene all’ambito della teologia morale.
Tu mi domandi se appartenga alla dottrina sociale della chiesa. Ebbene, anche su questo la risposta è sempre la stessa perché la dottrina sociale della Chiesa appartiene al suo insegnamento morale.
Va ricordato però che parlando di dottrina sociale si fa riferimento non solo a principi fondamentali e irreformabili (si pensi alla dignità della persona e ai principi ordinatori della società), ma anche a criteri di giudizio e a direttive di azione. E questi ultimi, a differenza dei principi, sono mutevoli a seconda delle circostanze.
Per cui nelle encicliche troviamo anche elementi mutevoli che risentono della cultura del tempo.
6. L’affermazione di Pio XI che mi hai riportato: “Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge da Dio fermamente stabilita” non è ex cathedra, ma è ugualmente vero che in nessun luogo e tempo è lecito sovvertire il disegno di Dio sulla famiglia e sulla sua struttura essenziale.
Ciò non toglie che la nostra comprensione del disegno di Dio si perfezioni sempre più. Per questo Giovanni Paolo II ha sottolineato che la sottomissione della donna al marito va letta alla luce del principio espresso nel versetto precedente secondo cui il marito e la moglie devono sottomettersi a vicenda nel timore di Cristo.
Questa è la struttura essenziale della famiglia voluta da Dio.
7. A proposito della benedizione dei genitori sui figli va ricordato quanto dice San Tommaso d’Aquino, e cioè che tutti possono benedire, ma mentre la benedizione dei laici è una benedizione invocativa, solo la benedizione di Dio e dei suoi ministri è una benedizione imperativa.
I genitori possono benedire i figli e fanno bene a farlo. Lo può fare tanto il padre quanto la madre.
Essendo una benedizione invocativa, va ricordato che il maggiore effetto è legato alla santità di chi benedice e alla devozione di chi la riceve.
8. È vero che nel tempo patriarcale si annetteva grande importanza alla benedizione del padre tanto che la Bibbia di Gerusalemme a proposito della maledizione di Noè a Cam osserva: “Le benedizioni e le maledizioni dei patriarchi (cfr. cc. 27 e 29) sono parole efficaci che, rivolte a un capostipite, si realizzano nei suoi discendenti” (nota a Gn 9,25).
Ma va riconosciuto che queste non erano benedizioni qualunque ma le benedizioni dei patriarchi, di coloro che ponevano le fondamenta del popolo eletto.
9. In riferimento alla domanda se le leggi canoniche abbiano efficacia retroattiva, la risposta è negativa.
Le leggi canoniche hanno valore solo dal momento della loro promulgazione.
Pertanto non possono avere valore retroattivo.
10. Circa il matrimonio di Santa Rita si deve dire che fu un vero matrimonio perché vi ha dato liberamente il consenso.
Così anche tutti i matrimoni che ancora oggi in alcune parti del mondo vengono combinati dai genitori sono validi se i nubendi vi danno il consenso.
Già i giuristi medievali dicevano che il matrimonium facit voluntas (il matrimonio è realizzato dalla volontà).
Ti ringrazio per l’apprezzamento del nostro lavoro, ti auguro ogni bene, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.
Padre Angelo