
Fonte dell’articolo mauroleonardi.it
Valerio Armeni, un giovane di 20 anni, ha ucciso, al culmine di una lite in famiglia, la mamma, Pamela Ferracci, di 46 anni. L’ha decapitata a colpi di coltello. A darne notizia ai carabinieri la sorella dei giovane che, terrorizzata, si era rifugiata dai vicini. Il fatto tremendo avviene la notte tra sabato e domenica. Il giovane, appare evidente, sarebbe affetto da patologie psichiatriche ma, purtroppo, tutto ciò non sarebbe estraneo alla tremenda pressione cui tutti siamo sottoposti a causa del Coronavirus.
La reclusione forzata cui tutti siamo costretti – veri e propri “arresti domiciliari” secondo alcuni – acuisce il dramma che vivono già le persone fragili assieme alle famiglie che le ospitano. In questo caso è la tragedia delle donne vittime di violenza domestica; in altri casi, vittime della medesima aggressività, sono i bambini oppure gli anziani e i disabili. A volte queste situazioni già di per sé esplosive degenerano e la custodia coatta attuale che impedisce vie d’uscita e costringe alla convivenza, può essere un elemento che costituisce l’inizio di una spirale di eventi drammatica e senza ritorno.
La sorella del ventenne, che prima ha provato a fermare il ragazzo senza riuscirci, si è salvata rifugiandosi dai vicini che hanno chiamato i carabinieri. Per fortuna in questo caso ha funzionato la rete di aiuto e così almeno la ragazza ha potuto salvarsi. Non di rado altri drammi si consumano nel silenzio, nell’indifferenza degli altri condómini e questo silenzio può divenire devastante quando si è costretti tra quattro pareti. Apprezziamo così ancor di più la presenza del vicino, del dirimpettaio, del prete, del volontario che in caso di bisogno ci ascoltano e intervengono. Proprio nel mezzo dell’infuriare del Coronavirus abbiamo la possibilità di dimostrare come ogni individuo possa promuovere la comunità circostante e come la comunità, a propria volta, possa sostenere le situazioni di fragilità e di disagio. Rimanere in casa in tempi di Coronavirus, è necessario. Anzi, è doveroso. Più ancora, è obbligatorio. Ma è estramamente impegnativo. I cappellani delle carceri sanno perfettamente quanto enormemente costosa sia la semplice pena della riduzione della libertà. Stare chiusi in pochi metri quadrati con delle persone facendo i conti con i loro modi di vivere diversissimi dai nostri è per la creatura umana, non nascondiamocelo, una tortura. Non è solo una fatica: ho usato il termine tortura e non me lo rimangio. Tanto più pesante è questa situazione per le persone con disabilità fisiche o psichiche, e per chi le accompagna. Le famiglie che hanno in casa un disabile, soprattutto con problemi psichiatrici, non vanno lasciate sole. L’episodio del Laurentino 38 ce l’ha drammaticamente ricordato. La solitudine è un virus assai più pericoloso di qualsiasi agente patogeno. Non conosce stagioni. Possiamo eliminarlo solo con il vaccino della sollecitudine, con l’abitudine a farci carico degli altri