Come a Gesù, anche a noi preti molti penitenti, dopo aver ricevuto l’assoluzione dei peccati, non dicono:
“Grazie, padre!”. Il che è segno di una confessione fatta solo per scrollarsi di dosso i peccati commessi. Com’è bello quando il penitente, prima di lasciare il confessionile, apre il cuore alla gratitudine verso Dio e il sacerdote attraverso il quale Dio sana l’uomo dalla lebbra del peccato che rovina e distrugge il volto umano.
Bisogna imparare a dire grazie. Grazie è una piccola parola, ma pregna di amore se viene detta dal profondo del cuore. Dopo ogni catechesi o celebrazione eucaristica non mi dimentico mai di dire: “Grazie per essere venuti ad ascoltare e a celebrare i misteri della vita di Gesù”. Ed è bello e commovente quando mi si risponde: “Siamo noi che dobbiamo ringraziare te, padre Lorenzo”. Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento al Signore e al prossimo. Il grande problema è che noi molte volte ci comportiamo come i bambini: accogliamo i doni senza guardare il donatore. Per esempio, quanti cristiani si ricordano di ringraziare il Signore per il dono del cibo quotidiano che noi chiediamo nella preghiera del Pater noster? Secondo me, pochissimi.
La preghiera di ringraziamento per eccellenza per noi cattolici è l’Eucaristia, nella quale rendiamo grazie al Padre celeste per il dono della creazione, a Gesù Cristo per il dono della redenzione e allo Spirito Santo per il dono della santificazione. Ma quanti cattolici celebrano l’Eucaristia la domenica? Solo il 6%. Quanta tristezza sul Volto di Gesù!
Chi non si ricorda di dire grazie alla SS. Trinità non si ricorda neppure di dire grazie al prossimo. Chi ama sa dire grazie. Chi non ama non ha l’umiltà di dire grazie. Al superbo tutto è dovuto. Amen. Alleluia.
(P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)