Ho scoperto il modo di recitare il Rosario da parte del beato Alano de…

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Fonte dell’articolo Amici Domenicani – Autore Padre Angelo Bellon op.

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Quesito

Buongiorno padre Angelo!
Mi perdoni per il disturbo. Desidero chiederle una delucidazione sul Santo Rosario recitato nella sua forma tradizionale come faceva il beato Alano della Rupe.
Per grazia di Dio mi sono spinto nell’approfondire la storia del Rosario nella sua forma originale e credo anche più completa, che comprende cioè anche i misteri della luce rimanendo pur sempre nelle 150 salutazioni angeliche.
Il beato Alano, a quanto ho avuto modo di comprendere, recitava il Rosario inserendo delle clausole dopo la parola Gesù dell’Ave Maria che richiamavano direttamente l’episodio del Vangelo che si meditava per ciascuna Ave.
Questa forma di preghiera mi ha affascinato non poco e le chiedo se sia ad oggi ancora lecito e meritevole recitare tutto il salterio con questo metodo molto bello.
Le pongo questa domanda poiché recitando il Rosario intero con questa forma “antica” , mi distaccherei non poco dagli elementi introdotti nella recita odierna del Rosario…pur godendo di un aiuto alla contemplazione sicuramente maggiore.
La ringrazio e la saluto cordialmente! 


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. è vero, il tuo modo di recitare il Rosario era conosciuto in antico prima che San Pio V con la sua bolla Consueverunt Romani Pontifices nel 1569 aggiungesse la seconda parte dell’Ave Maria.
Prima di allora l’Ave Maria, che era detta Salutazione Angelica, si concludeva con il nome Gesù, aggiunto verso il 1260 70 alle parole “frutto del tuo grembo”.

2. Ai tempi del beato Alain de la Roche (seconda parte del 1400) in molti posti alla parola Gesù si aggiungeva una breve frase che aveva l’intenzione di fissare la meditazione.
Sembra che sia stato un monaco cistercense, Domenico di Prussia, a introdurre le clausole. Compose un Rosario di 50 Ave Maria e 50 clausole diverse.
In Internet si possono trovare facilmente.
Quale è il vantaggio di questo modo di pregare? Indubbiamente si evidenziano tanti particolari del Vangelo, si fissano nella memoria in modo tale che Rosario diventa il compendio del Vangelo.
Quale la difficoltà? Indubbiamente la difficoltà di memorizzare le clausole e soprattutto la necessità di doverle leggere e portarsi dietro il testo.
Se il Rosario di Domenico di Prussia non avuto successo è stato proprio perché, a motivo della sua complessità e macchinosità, non poteva averlo.

3. In alcuni luoghi queste clausole sono state semplificate.  Ad ogni decina si ripete sempre la stessa.
Giovanni Paolo II approva questo modo di recitare il Rosario sebbene non sia quello tradizionale.
Ciò significa che le indulgenze vengono acquisite ugualmente e che si può far parte della confraternita del Santissimo Rosario anche recitando il Rosario con le clausole, senza la seconda parte dell’Ave Maria che si recita solo al termine della decina.

4. Ecco che cosa dice nella lettera sulla Rosario Giovanni Paolo II: “Il baricentro dell’Ave Maria, quasi cerniera tra la prima e la seconda parte, è il nome di Gesù
Talvolta, nella recitazione frettolosa, questo baricentro sfugge, e con esso anche l’aggancio al mistero di Cristo che si sta contemplando.
Ma è proprio dall’accento che si dà al nome di Gesù e al suo mistero che si contraddistingue una significativa e fruttuosa recita del Rosario. Già Paolo VI ricordò, nell’Esortazione apostolica Marialis cultus, l’uso praticato in alcune regioni di dar rilievo al nome di Cristo, aggiungendovi una clausola evocatrice del mistero che si sta meditando.
È un uso lodevole, specie nella recita pubblica. Esso esprime con forza la fede cristologica, applicata ai diversi momenti della vita del Redentore.
È professione di fede e, al tempo stesso, aiuto a tener desta la meditazione, consentendo di vivere la funzione assimilante, insita nella ripetizione dell’Ave Maria, rispetto al mistero di Cristo. Ripetere il nome di Gesù – l’unico nome nel quale ci è dato di sperare salvezza (cfr At 4, 12) – intrecciato con quello della Madre Santissima, e quasi lasciando che sia Lei stessa a suggerirlo a noi, costituisce un cammino di assimilazione, che mira a farci entrare sempre più profondamente nella vita di Cristo” (Rosarium Virginis Mariae, 33).

5. Il Rosario così come lo troviamo nelle nostre mani oggi è il Rosario domenicano. È questa la forma che si è imposta per la sua semplicità e praticità.
Giustamente è stato scritto: “Il rosario domenicano era stato donato dal cielo come strumento di evangelizzazione per un ordine mendicante: doveva essere semplice e pratico; non era affatto necessario un libro per portarselo appresso, poiché il ciclo settimanale dei 15 misteri poteva facilmente essere mandato a memoria.
“Con il passare del tempo, il rosario certosino non riuscì, in senso proprio, prendere piede nemmeno tra i certosini: al di fuori di certi ambienti legati alla loro spiritualità, ad oggi, non esiste nel mondo un luogo in cui esso sia ampiamente diffuso tra i fedeli, ciò nonostante, il rosario certosino della vita di Cristo resta un metodo di orazione è molto nobile raccomandato da numerosi santi e beati, tra cui San Luigi Maria Grignion de Monforte, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II” (Donald H.Calloway,, Campioni del Rosario, p. 71).

6. In conclusione, venendo alla tua domanda, poiché il Rosario è una preghiera molto larga, se lo reciti come mi hai detto, non ti distacchi in nessun modo dall’essenza di questa preghiera.
Se questa forma ti aiuta, continua così. Non perdi nulla dei benefici del Rosario.
Ma se devi propagare il Rosario, inizia a propagarlo nella forma più semplice, che non abbia bisogno di un testo, che si possa recitarlo dovunque e in ogni ora del giorno e della notte.
È stata questa la sua fortuna e lo sarà per sempre.

Ti ringrazio di aver attirato l’attenzione su questo particolare. Penso che possa giovare a qualche nostro visitatore.
Ti ricorderò questa sera nell’ultimo rosario della giornata, che io dico nella forma tradizionale e domenicana passeggiando lentamente nel corridoio  e al buio.
Ti benedico e ti auguro ogni bene, padre Angelo

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P.Angelo Bellon op, docente di teologia morale.