FarodiRoma – Digiuno – Come Gesù

Venerdì prossimo, 23 febbraio, il Papa ha proclamato una giornata di preghiera e digiuno per la pace offerto in particolare per le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan. Sono oltre una settantina le guerre “dimenticate” nel mondo e già questo dato sconvolgente rende quanto mai opportuno un momento di meditazione e di preghiera. Ma che significato può rappresentare questo giorno per un non cristiano, per il fedele di un’altra professione religiosa? Se ben compreso, l’invito del Papa a digiunare per la pace appare come assolutamente trasversale alle fedi. Rifiutare il cibo può significare rompere con la “materia” e quindi è stato spesso praticato da chi aspira a raggiungere un contatto diretto e privilegiato con un’entità trascendentale. Gesù, Buddha, profeti e santi, per citare i più famosi, si sono privati del cibo per elevarsi ed affermare il proprio pensiero. Digiunare è anche recidere un legame che può essere non solo quello del cibo ma anche quello di un gruppo sociale e quindi può assumere il senso della protesta. Astenersi dal cibo è stata, dal Mahatma Gandhi in poi, una forma di contestazione pacifica ma efficace usata per far valere i propri diritti. Nell’antico Giappone si digiunava “contro” il nemico per attentare al suo onore, in India un creditore poteva decidere di fare lo sciopero della fame davanti alla casa del suo debitore finché non gli veniva restituito quanto dovuto. Si possono ricordare anche gli scioperi della fame di Marco Pannella o dei detenuti di un carcere. “I have a Dream” è l’inizio del discorso di Martin Luther King che era un pastore e non era cattolico e il sogno era quello di una civiltà di pace. E la ricerca della pace è stata promossa anche da Gandhi e tantissimi altri fino ad arrivare a John Lennon e al suo “Imagine”. La pace è come il Natale dove ciascuno, anche non credente, può riconoscersi in una famiglia povera, senza casa, straniera e tuttavia grata per la grazia di un figlio. Addirittura, mentre per pregare una qualche fede ce la devi avere, per digiunare si può anche essere atei: basta avere voglia di attraversare il territorio della fame. Venerdì prossimo tutti abbiamo l’occasione di scoprire che un digiuno fa bene alla salute, fa bene al portafoglio e fa bene anche alla pace. Quando il profeta Giona cominciò a profetizzare sventura sulla città di Ninive – emblema della dissolutezza arrogante – i niniviti cominciarono a digiunare. Il digiuno è la preghiera del corpo e per questo è una liturgia che può essere officiata anche da chi non crede nell’anima. Il digiuno volontario, cioè il digiuno come scelta, ci confronta con la nostra fragilità: sono o no capace di rinunciare a qualcosa? Il digiuno ci porta nel profondo della nostra vulnerabilità, del nostro “non potere” e ci interroga su quali siano davvero i nostri appetiti. Ci sfida sull’autocontrollo e ci fa comprendere meglio il valore di quanto abbiamo. Niente come la fame mi fa apprezzare il pane. Ci apre alla pace perché ci fa riflettere su quanto di superfluo abbiamo e su cosa possa significare, sul serio, avere dei bisogni che rimangono inascoltati. Attraverso il digiuno scopriamo il nostro “troppo” e così riscopriamo l’essenziale e diveniamo più sobri e solidali. Questa rivelazione è parente della pace perché spessissimo la guerra è figlia dell’ingiustizia, di un capitalismo becero che arricchisce i ricchi e lascia i poveri senza nulla. Se poi chi digiuna è cristiano può, povero di risorse, privo di tutto, armato solo di un bastone, andare di casa in casa, fermarsi, e invocare il dono della pace sulle persone. La pace è il primo dono che viene da Cristo risorto. Prima della fede, prima della missione, prima dello Spirito Santo. Gesù appena risorto, nel chiuso del cenacolo, dona ai suoi discepoli la pace. Auguriamocela davvero e lavoriamo per essa.

Tratto da FarodiRoma

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