Se ami Dio senza amare il prossimo, ami soltanto un’immagine e di un amore immaginario.
L’amore di Dio che non sia nel contempo servizio del prossimo, è un’immensa menzogna che uno racconta a se stesso…
Se ami il prossimo senza amare Dio, che amore è questo?
E’ l’istinto del gregge e gusto del calore e del tanfo della moltitudine, è la paura di stare da soli, è il piacere di strofinarsi agli altri oppure <a aria-describedby="tt" href="https://www.cercoiltuovolto.it/glossario-cattolico/odio/" class="glossaryLink" data-cmtooltip="
Odio
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<p>L’incitamento all’odio (hate speech) sembra essere oggi una delle pratiche più ricorrenti. Anzi, grazie ai social network, sta assumendo dimensioni tali da far ritenere quasi ineluttabile il sentimento dell’odio. Efficace e insindacabile strumento per sbarazzarsi, in maniera violenta, di chi presenta o rappresenta un’alternativa al proprio modo di essere, di vivere e di pensare. L’essere, l’odio, una forza essenzialmente distruttiva che si esprime come repulsione, rifiuto e delegittimazione dell’altro, trova giustificazione nella sua (incerta) etimologia.</p>
<p>La parola odio sembra derivare infatti dalla radice indoeuropea vadh – poi uad e, più tardi, od – che si ritrova nel sanscrito avadhit (colpire, ferire), da cui il greco ὠθέω (respingo) e, infine, il latino odisse, da cui il sostantivo odium. Di una certa plausibilità gode anche l’ipotesi che riconduce la parola odio alla radice ad, da cui il latino edo (mangio). Penso sia stata proprio la consapevolezza del carattere distruttivo (ed autodistruttivo) dell’odio a far dire ad Antoine Leiris, all’indomani degli attentati di Parigi e della morte della moglie al Bataclan: “Non avrete il mio odio”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è posta Liliana Segre che, alle aggressioni subite sui social, ha risposto così: “Io non perdono e non dimentico, ma non odio”.</p>
<p>È pretestuoso voler giustificare l’odio evocando le parole di Gesù: “Se qualcuno viene a me e non odia suo padre e la madre … non è degno di me” (Lc 14, 26). È evidente, qui, che il verbo odiare significa amare di meno. Quanto esige Gesù non è in contrasto con il messaggio biblico (Mc 12, 29 -31; 1Gv 2,9; 4,20), sintetizzabile in quel “Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (1 Gv 3,15). E questo è tanto più vero quando si pensa ai verbi e agli attributi che accompagnano la parola odio.</p>
<p>L’odio lo si scatena, lo si fomenta e lo si cova dentro. L’odio è tenace, implacabile, profondo. Si dice anche che l’odio è cieco. Sami Modiano, un sopravvissuto ad Auschwitz, afferma invece: “Non è vero che l’odio è cieco, ha la vista molto acuta, quella di un cecchino, e se si addormenta il suo sonno non è mai eterno, ritorna”. La tenacia e la forza di ritorno dell’odio non le si vincono certo con altro odio. L’odio – una patologia dello spirito – non nascendo mai dalle parole ma dalle idee, può essere vinto solo con altre idee, che abbiano una forza uguale e contraria. Viene in mente, qui, l’invito tutt’altro che rinunciatario di Gesù: “A chi ti percuote sulla guancia, porgi una guancia altra” (Lc 6, 29). Opponi cioè un modo diverso di vedere e di agire.</p>
<p>Niente di sentimentale o di buonista in questo invito! Atteso infatti che per chi odia non esistono fatti, ma solo interpretazioni, il ‘modo diverso di vedere e di agire’ ha efficacia solo se è frutto di conoscenza e di formazione. L’odio si nutre di ignoranza e prospera in un clima politico che, come ritiene Vargas Losa, si svuota di idee e di ideali per limitarsi a ricorrere la mera pubblicità e l’ossessione per le apparenze.</p>
<p>A cura di <span class="metadata-holder"><span class="p-r-h">S.E. Mons. Nunzio Galantino</span></span></p>
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” target=”_blank” >odio in comune di qualche altro gregge.
Se ami te stesso senza amare né Dio né il prossimo questo amore è il contrario dell’amore.
Ma se ami Dio e il prossimo senza amare te stesso, l’amor tuo non è un <a aria-describedby="tt" href="https://www.cercoiltuovolto.it/glossario-cattolico/dono/" class="glossaryLink" data-cmtooltip="
Dono
L’episodicità non appartiene al dono. Gli appartengono invece come caratteristiche, in maniera e per motivi diversi, la costanza nel donare e la reciprocità alla quale apre ogni dono autentico. La costanza è caratteristica principale del dono perché la cultura del dono non si improvvisa e di norma non nasce come risposta a una richiesta.<br />Alla cultura del dono ci si forma. È una cultura eversiva. Non è erba spontanea. Soprattutto in un mondo retto dalla ragioneria della partita doppia dare/avere e che ha come soggetto prevalente l’uomo, essere calcolante, al quale interessano più le cose che circolano che le persone alle quali esse sono destinate.<br />E poi, la reciprocità. Intesa non come pretesa che al dono donato corrisponda sempre e comunque una restituzione; ma nel senso che il dono, sempre, apre la strada a uno scambio relazionale, che va oltre le cose date e ricevute. Le persone non avide amano e apprezzano solo doni, segni concreti di una grammatica relazionale. Quella che mette in moto esperienze di reciprocità, che non si nutrono necessariamente di scambi materiali. Questi valgono e ricevono senso solo grazie all’intenzione che li accompagna. La reciprocità alla quale schiude la strada il dono esige un coinvolgimento che provoca cambiamento e contaminazione. Anche al di là dei protagonisti diretti del dono.<br />Il termine tedesco Gegenseitigkeit, che traduce l’italiano “reciprocità”, contiene la necessità del cambiamento nei soggetti che vivono l’esperienza della reciprocità, tanto che il termine tedesco può essere così reso: io non sono più quello che ero prima di incontrare te, tu non sei più quello che eri prima di incontrare me. Il dono quindi, quello vero, apre orizzonti imprevisti e orienta progettualità sorprendenti, per lo più frutti maturi di percorsi relazionali e di reciprocità. Al di fuori dell’esperienza di reciprocità, l’atto del donare è fortemente esposto alla banalizzazione e alla sua contraffazione semantica: crea soltanto vincoli, soggezione e dipendenze. Può addirittura finire per stabilire un potere sul destinatario del dono.<br />Il non semplice e delicato percorso etimologico della parola dono produce inevitabilmente effetti anche sul suo percorso semantico, non nascondendo le ambiguità che accompagnano la parola dono. Di immediata intuizione è la derivazione dal latino dōnum e donatio (“dono” e anche “atto del donare”), derivati dal sanscrito dāna e dalla radice dā (effetto dell’azione della luce). Fondata sulla derivazione dal sanscrito, è la suggestiva osservazione di chi ritiene che, nella trasformazione del termine dāna nelle varie lingue, sia andato purtroppo perduto il significato originario del dono come effetto dell’azione della luce o, meglio, come “propagazione del divino”. Ma non va nemmeno dimenticata la tradizione greca intorno al dono che, tra l’altro, troviamo condensata nel virgiliano Timeo Danaos et dona ferentes (Eneide, Libro II, 49) e nella iconografia di Apollo, rappresentato con una mano che dona e l’altra che trafigge.<br />Mons. Nunzio Galantino – Abitare le parole
” target=”_blank” >dono, poiché non si può far <a aria-describedby="tt" href="https://www.cercoiltuovolto.it/glossario-cattolico/dono/" class="glossaryLink" data-cmtooltip="
Dono
L’episodicità non appartiene al dono. Gli appartengono invece come caratteristiche, in maniera e per motivi diversi, la costanza nel donare e la reciprocità alla quale apre ogni dono autentico. La costanza è caratteristica principale del dono perché la cultura del dono non si improvvisa e di norma non nasce come risposta a una richiesta.<br />Alla cultura del dono ci si forma. È una cultura eversiva. Non è erba spontanea. Soprattutto in un mondo retto dalla ragioneria della partita doppia dare/avere e che ha come soggetto prevalente l’uomo, essere calcolante, al quale interessano più le cose che circolano che le persone alle quali esse sono destinate.<br />E poi, la reciprocità. Intesa non come pretesa che al dono donato corrisponda sempre e comunque una restituzione; ma nel senso che il dono, sempre, apre la strada a uno scambio relazionale, che va oltre le cose date e ricevute. Le persone non avide amano e apprezzano solo doni, segni concreti di una grammatica relazionale. Quella che mette in moto esperienze di reciprocità, che non si nutrono necessariamente di scambi materiali. Questi valgono e ricevono senso solo grazie all’intenzione che li accompagna. La reciprocità alla quale schiude la strada il dono esige un coinvolgimento che provoca cambiamento e contaminazione. Anche al di là dei protagonisti diretti del dono.<br />Il termine tedesco Gegenseitigkeit, che traduce l’italiano “reciprocità”, contiene la necessità del cambiamento nei soggetti che vivono l’esperienza della reciprocità, tanto che il termine tedesco può essere così reso: io non sono più quello che ero prima di incontrare te, tu non sei più quello che eri prima di incontrare me. Il dono quindi, quello vero, apre orizzonti imprevisti e orienta progettualità sorprendenti, per lo più frutti maturi di percorsi relazionali e di reciprocità. Al di fuori dell’esperienza di reciprocità, l’atto del donare è fortemente esposto alla banalizzazione e alla sua contraffazione semantica: crea soltanto vincoli, soggezione e dipendenze. Può addirittura finire per stabilire un potere sul destinatario del dono.<br />Il non semplice e delicato percorso etimologico della parola dono produce inevitabilmente effetti anche sul suo percorso semantico, non nascondendo le ambiguità che accompagnano la parola dono. Di immediata intuizione è la derivazione dal latino dōnum e donatio (“dono” e anche “atto del donare”), derivati dal sanscrito dāna e dalla radice dā (effetto dell’azione della luce). Fondata sulla derivazione dal sanscrito, è la suggestiva osservazione di chi ritiene che, nella trasformazione del termine dāna nelle varie lingue, sia andato purtroppo perduto il significato originario del dono come effetto dell’azione della luce o, meglio, come “propagazione del divino”. Ma non va nemmeno dimenticata la tradizione greca intorno al dono che, tra l’altro, troviamo condensata nel virgiliano Timeo Danaos et dona ferentes (Eneide, Libro II, 49) e nella iconografia di Apollo, rappresentato con una mano che dona e l’altra che trafigge.<br />Mons. Nunzio Galantino – Abitare le parole
” target=”_blank” >dono di ciò che non si ama; è il contrario di un <a aria-describedby="tt" href="https://www.cercoiltuovolto.it/glossario-cattolico/dono/" class="glossaryLink" data-cmtooltip="
Dono
L’episodicità non appartiene al dono. Gli appartengono invece come caratteristiche, in maniera e per motivi diversi, la costanza nel donare e la reciprocità alla quale apre ogni dono autentico. La costanza è caratteristica principale del dono perché la cultura del dono non si improvvisa e di norma non nasce come risposta a una richiesta.<br />Alla cultura del dono ci si forma. È una cultura eversiva. Non è erba spontanea. Soprattutto in un mondo retto dalla ragioneria della partita doppia dare/avere e che ha come soggetto prevalente l’uomo, essere calcolante, al quale interessano più le cose che circolano che le persone alle quali esse sono destinate.<br />E poi, la reciprocità. Intesa non come pretesa che al dono donato corrisponda sempre e comunque una restituzione; ma nel senso che il dono, sempre, apre la strada a uno scambio relazionale, che va oltre le cose date e ricevute. Le persone non avide amano e apprezzano solo doni, segni concreti di una grammatica relazionale. Quella che mette in moto esperienze di reciprocità, che non si nutrono necessariamente di scambi materiali. Questi valgono e ricevono senso solo grazie all’intenzione che li accompagna. La reciprocità alla quale schiude la strada il dono esige un coinvolgimento che provoca cambiamento e contaminazione. Anche al di là dei protagonisti diretti del dono.<br />Il termine tedesco Gegenseitigkeit, che traduce l’italiano “reciprocità”, contiene la necessità del cambiamento nei soggetti che vivono l’esperienza della reciprocità, tanto che il termine tedesco può essere così reso: io non sono più quello che ero prima di incontrare te, tu non sei più quello che eri prima di incontrare me. Il dono quindi, quello vero, apre orizzonti imprevisti e orienta progettualità sorprendenti, per lo più frutti maturi di percorsi relazionali e di reciprocità. Al di fuori dell’esperienza di reciprocità, l’atto del donare è fortemente esposto alla banalizzazione e alla sua contraffazione semantica: crea soltanto vincoli, soggezione e dipendenze. Può addirittura finire per stabilire un potere sul destinatario del dono.<br />Il non semplice e delicato percorso etimologico della parola dono produce inevitabilmente effetti anche sul suo percorso semantico, non nascondendo le ambiguità che accompagnano la parola dono. Di immediata intuizione è la derivazione dal latino dōnum e donatio (“dono” e anche “atto del donare”), derivati dal sanscrito dāna e dalla radice dā (effetto dell’azione della luce). Fondata sulla derivazione dal sanscrito, è la suggestiva osservazione di chi ritiene che, nella trasformazione del termine dāna nelle varie lingue, sia andato purtroppo perduto il significato originario del dono come effetto dell’azione della luce o, meglio, come “propagazione del divino”. Ma non va nemmeno dimenticata la tradizione greca intorno al dono che, tra l’altro, troviamo condensata nel virgiliano Timeo Danaos et dona ferentes (Eneide, Libro II, 49) e nella iconografia di Apollo, rappresentato con una mano che dona e l’altra che trafigge.<br />Mons. Nunzio Galantino – Abitare le parole
” target=”_blank” >dono: è un oblio; è il contrario di un sacrificio: è un suicidio.
E’ perdita, non amore, poiché in te non vi è nessuno che possa amare.
Ordunque, ama Dio per amore del prossimo e di te stesso ama il prossimo per amore di Dio e di te stesso ama te stesso per amore del prossimo e di Dio.
Non opporre gli opposti, anzi congiungili nell’amore.
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Daniela Ricupero, condivide lo stesso cammino di fede di suo marito "Luciano Del Fico", ma non è stato sempre così. Dio opera, un seme si è sparso sul percorso di vita e ha creato i sui frutti, questo grazie a nostro Signore Gesù!
La preghiera mentale non ha bisogno di parole, è un rapporto continuato e duraturo di amicizia con Gesù. Un buon sacerdote mi ha chiesto cosa è cambiato con la tua conversione negli ultimi 6 anni [Leggi tutto…]
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SECONDO GIORNO – Luce: cercare e rendere manifesta la luce di Cristo (Atti 27, 20) “Per parecchi giorni non si riuscì a vedere né il sole né le stelle, e la tempesta continuava sempre più [Leggi tutto…]
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