
Domenica delle Palme (Anno B) Prima Lettura Is 50,4-7
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Salmo responsoriale (Sal 21)
Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama!».
Un branco di cani mi circonda, mi accerchia una banda di malfattori; hanno scavato le mie mani e i miei piedi. Posso contare tutte le mie ossa.
Si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto.
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea. Lodate il Signore, voi suoi fedeli, gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, lo tema tutta la discendenza d’Israele.
Seconda Lettura Fil 2,6-11
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
Acclamazione al Vangelo (Fil 2,8-9)
Gloria e lode a te, o Cristo! Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è sopra ogni altro nome. Gloria e lode a te, o Cristo!
Forma breve (Mc 15, 1-39): Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco
– Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei? Al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: «Tu sei il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito. A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». Ed essi di nuovo gridarono: «Crocifiggilo!». Pilato diceva loro: «Che male ha fatto?». Ma essi gridarono più forte: «Crocifiggilo!». Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso. – Intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: «Salve, re dei Giudei!». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. – Condussero Gesù al luogo del Gòlgota
Costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. – Con lui crocifissero anche due ladroni Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra. – Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. – Gesù, dando un forte grido, spirò Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Qui si genuflette e si fa una breve pausa) Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
La passione di Gesù, Dio
La liturgia ci ha condotto fino alla celebrazione odierna delle Sante Palme. Forse per noi cristiani è diventato un rito cerimoniale consueto e abitudinale di questa festa. La benedizione delle palme, partecipare alla S. messa e forse qualcuno porterà un ramoscello di ulivo a qualcuno con il quale non si vede e non si parla da tempo. Ma che cos’è la festa odierna?
Le S. Palme ci introducono alla settimana, così chiamata Santa, perché i credenti vivono quelli che sono stati gli ultimi momenti della vita del Signore Gesù, di un uomo così innamorato di Dio da andare incontro ad una sorte tanto tragica, fino all’esito estremo della morte. Per comprendere questo evento, dobbiamo guardare a quello che Gesù ha compiuto: per il lebbroso, per le donne, per il peccatore pentito, per lo storpio, per gli ultimi, per tutto ciò che era piccolo, insignificante e rigettato dagli uomini. Gesù era l’innamorato di Dio ma anche l’innamorato dell’uomo. Per Gesù l’uomo era la ricchezza: Dio. Infatti quando Gesù proclama le beatitudini, manifesta tutta la passione verso l’uomo: ogni volta che avrete fatto questo a uno dei più piccoli dei miei fratelli lo avete fatto a me. Cioè Gesù si mette sullo stesso piano dell’uomo, del povero, dell’assetato, dell’ignudo, del malato, ecc. E’ la stessa passione che lo porta a schierarsi dalla parte di questi ultimi e a scagliarsi contro i farisei e gli scribi ipocriti; ed è la stessa passione che lo spinge con violenza a scacciare i venditori dal tempio di Gerusalemme, che in realtà demolisce quel tempio fatto di commercio, falsità religiosa per instaurare il nuovo tempio, il suo Corpo, il corpo dei fedeli. Possiamo bene dire che, l’evento della Passione di Gesù è il compimento di tutto il suo ministero, cioè, di tutto quello che ha detto e fatto. Se guardiamo alla vita di Gesù, non ha trascorso un momento della sua esistenza terrena che non abbia vissuto con lo stesso intenso amore, ardore, zelo verso l’uomo abbandonato, ma non soltanto, anche verso coloro che si sentivano a posto. Con questi ha avuto un atteggiamento più severo, più autoritario, i vangeli sono pieni di questi momenti, di scontro. Gesù non è stato l’uomo Dio che è passato solo predicando e guarendo, ma ha pianto con chi stava nella sofferenza: per Lazzaro, per la figlia di Giairo, per il cieco, per il giovane ricco “lo fisso e lo amò”; ma ha anche gioito: alle nozze di Cana, il peccatore convertito; ma si è anche alterato: al tempio di Gerusalemme e i tanti scontri avuti con scribi e farisei. Una vita vissuta con la stessa intensità, con la stessa Passione, con gli stessi sentimenti di un uomo. Quello che Gesù ci dice è: quello che porto dentro, quello che porti dentro di te non potrà mai tradirti: Dio. Io mi sono fidato e loro mi hanno accompagnato fin qui. E se non mi hanno (HA) tradito sin ora, perché devo temere che lo faccia adesso che devo manifestare la sua gloria? Padre glorifica il figlio tuo, perché il Figlio tuo glorifichi te Gv 17,1. Mi hai sempre detto: tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato Salmo 2,7. Tu Padre santo mi hai sempre accompagnato, non mi hai mai lasciato la tua mano che con tanto amore e sicurezza mi ha guidato: Salmo 118 (119), 105 Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino. Lungo tutta la vita mi hanno insegnato le tue leggi, e le 619 norme che gli uomini hanno costituito, aggravando così pesi sulle vite degli uomini da farli sentire sempre in colpa verso Dio. Mi hai dato intelligenza: Salmo 118 (119), 33 Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti e la seguirò sino alla fine. Meditando la tua legge ho messo in discussione tutte le norme degli uomini, e per questo sono stato giudicato, preso per pazzo, eretico, ma mi sono fidato di te fino alla fine perché tu sei con me: Salmo 23,4 Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
La voce, il Dio che ho amato ed è cresciuto dentro di me non mi ha mai tradito. In tutti questi momenti sembrava di essere di fronte a qualcosa d’impossibile. Ma io le ho creduto e lei mi ha dato ragione. Adesso mi trovo di fronte a qualcosa di incomprensibile, di inspiegabile, di non ragionevole, di atroce. Non capisco, ma mi fido: Gv 12,27 Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora. Così Gesù rimane fedele alla sua vita, al suo amore per l’uomo e per tutto ciò che vive, e soprattutto alla sua unica e vera passione: Dio. E quando tutto sembrò finire, concludersi; quando tutto sembrò chiudersi Dio non lo tradì. La Passione è la storia di quest’uomo fedele a se stesso e al proprio profondo, innamorato di questo Dio che non lo lasciò, ma che confermò con la resurrezione che tutto ciò che Gesù viveva era “Dio”.
Gli uomini di ogni tempo si sono sempre confrontati con la persona di Gesù, credenti e non, alcuni si sono messi al suo seguito alcun altri no, ma una cosa è certa: la Parola, il vissuto di Gesù ha cambiato il mondo, il cuore degli uomini. Noi tutti per poter meglio vivere la Passione di Gesù, possiamo provare a identificarci nei personaggi che ha incontrato sulla via verso Gerusalemme e sull’esempio di Gesù, contemplando quella che è stata, quella che sarà e quella che è la nostra vita, ricordandoci che in ogni uomo narrato nei vangeli possiamo ritrovare il nostro vivere.
14, 1-3: complottavano di uccidere Gesù. È un evento che durante il suo viaggiare verso Gerusalemme, che a Gesù non lo ha preoccupato più di tanto, ma ora è giunto nella città del potere e l’improbabile sta diventando probabile. Qui Gesù non viene accolto dai sacerdoti e scribi del tempio e dalla gente facoltosa, tanto meno dai romani, ma a loro interessano poco le questioni religiose, a loro conta mantenere l’ordine e il potere. Infatti sono i così detti “dotti del tempio” che cercano in tutti i modi di ucciderlo, ma devono farlo con molta discrezione perché con l’oppressione dei romani a lo ro non è permesso uccidere o condannare un uomo, perciò devono farlo di nascosto: in realtà è il peccato che si è impossessato dei loro cuori, satana non ama fare le cose alla luce, in lui sono le tenebre e chiunque opera in suo nome agisce nelle tenebre. Il male ama l’inganno e il nascondimento. Il male s’insinua pericolosamente nella vita delle persone e del mondo. L’astuzia del maligno sta proprio in questo: faccio credere che le loro opere è per salvaguardare qualcosa di importante (in questo caso la legge), ma senza che se ne accorgono. Il Figlio di Dio è stato condannato e ucciso come un impostore, e tutto è stato costruito sulla falsità.
Qualche giorno prima della Pasqua, mentre gli scribi e i farisei tramavano di catturarlo, Gesù si trova nella casa di Simone il lebbroso 14, 3-9: l’unzione di Betania. “Non ci resta che amare”. Entra in casa una donna con un vasetto pieno di profumo pregiato. La donna lo rompe e gli versa l’unguento sul capo di Gesù, tanto fu eclatante il gesto che alcuni dei presenti si indignarono per lo spreco di così tanto valore. A quei tempi era solito il padrone di casa, nelle occasioni particolari, ungere con unguento profumato l’ospite, perciò quel gesto non era inusuale. Il gesto della donna ci st5a dicendo che l’Amore, quello vero non può e non ha misura, esso va oltre la misura umana, e Gesù è questo, è Amore. Spesso siamo bombardati dalle cattive notizie giornalistiche: guerre, tra popoli, tra clan mafiosi, tra le famiglie, in casa propria, tra figli contro genitori, tra coniugi. Allora tu pensi perché tutto questo male? Perché gli uomini devono farsi le guerre? Vorremmo tutti che finisca l’odio nel mondo. Ma tutto questo non viene dall’esterno ma dall’interno dell’uomo, dal cuore. Il profumo sul capo di Gesù ci sta dicendo che la donna Amò tanto Gesù che non risparmiò l’unguento prezioso. Ecco l’uomo dov’è che deve tornare, alla fonte dell’Amore, a Dio, a Gesù. Questo è quello che fa Gesù. Non è riuscito a cambiare il mondo, non è riuscito a portare il regno di Dio sulla terra, e in questo ha fallito. Ma ciò che ha potuto fare è stato portare il Regno di Dio nella sua vita e con la sua vita. Anche noi viviamo l’impotenza di Gesù quando di fronte a certe situazioni, dopo aver lottato con tutte le nostre forze e con tutta la passione che abbiamo dentro, non ci resta che stendere la mani perché ci ritroviamo impotenti. Quante volte anche noi ci sentiamo così impotenti dinanzi a tante situazioni della vita: ed ora cosa posso fare? Una persona cara vive nella malattia e tu la vedi soffrire giorno dopo giorno, vorresti fare qualcosa per lei ma non puoi, sei impotente, allora che fai? Un uomo è rimasto solo, l’unica ragione della sua vita è volata in cielo, tu lo vedi, senti la sua sofferenza, vorresti fare qualcosa, dirgli delle parole che lo confortano, ma sai che è tutto inutile, il suo dolore è solo suo, allora che fare? Un padre viene chiamato nella notte e gli dicono che suo figlio a commesso qualcosa di tanto brutto. Lo raggiunge, lo vede sfiduciato, non sa cosa dire e il padre non sa cosa fare, si sente impotente, allora cosa fare? Ecco, la donna del vangelo coi viene in aiuto: si fa avanti con un gesto di assoluta bontà. Ormai il destino di Gesù è segnato, la donna non può fare più niente, non può cambiare o togliere niente dal corso che hanno preso gli avvenimenti con Gesù. Può fare solo una cosa, può amarlo. E così le sue mani delicate e tenere, curano, accarezzano e sollevano il capo di Gesù. Quando tutto ti sembra finito, quando ti senti impotente dinanzi alle situazioni, non ci resta che amare. E questo è tutto il nostro potere, Amare.
L’esperienza di ogni uomo, 14, 10-21 Giuda “L’illusione del denaro”. Quante volte anche noi facciamo tutto in virtù del denaro: per il denaro le persone lavorano tutto il giorno, anche le domeniche e i giorni di festa, ormai sono diventate lavorative. C’è una corsa sfrenata nel dover guadagnare sempre di più. Oggi si dice c’è la crisi! Allora io mi chiedo: che cosa è la crisi di oggi? La mancanza di cibo? La mancanza di lavoro? Si! Può anche darsi che ci sono tante persone che vivono questa realtà, ma quanti anche vivendo questa realtà non si fanno mancare niente? Telefonini all’ultima moda; vestiti all’ultima moda; auto di lusso super accessoriata; parrucchiere ogni settimana; cena con gli amici ogni sabato se non anche in settimana; ecc. Allora la crisi siamo noi che non ci accontentiamo di quello che serve veramente per vivere ma vogliamo sempre di più. Allora uno stipendio non basta più, ci vogliono più soldi. Questo ritmo di vita ti esula dal riposo e dai quotidiani affetti importanti, quali la famiglia, i figli, la comunità, la preghiera e meditazione. Ecco il maligno come agisce, ci fa credere di vivere per il bene invece ci allontana dal bene. Così si finisce per attaccare il nostro cuore ai beni terreni e perdere il vero Amore, il vero Dio. Giuda conosceva bene Gesù, è stato suo discepolo, faceva parte addirittura dei dodici, come mai allora lo ha tradito? perché ha creduto che consegnando Gesù nelle mani del Sinedrio stava facendo una scelta buona, in effetti era nel possesso di satana. Il guadagno del contributo in denaro, lo ha condotto al suicidio, satana non lascia scomodi testimoni.
14, 22-25: l’eucarestia: “Che io sia come il pane e come il vino”. Orami il destino di Gesù è stato segnato, tutto è deciso. Ora Gesù sta per celebrare la Pasqua degli Ebrei, come ogni osservante. Da molti anni, sia lui che i dodici celebrano questa festa e conoscono molto bene il rito da compiere, il passaggio del Mar Rosso, la liberazione dalla schiavitù di Egitto, ma questa Pasqua è diversa. Gesù è consapevole che sta per essere arrestato, morirà e tutti saranno dispersi, cosa resterà della sua vita, dei suoi insegnamenti, del Regno di Dio? Egli si identifica nel popolo Ebreo, reso schiavo, reietto e perseguitato in Egitto. Egli si sente come quel popolo, è solo a dover attraversare il Mar Rosso, quel mare che per gli Ebrei sembrava invalicabile, ora quel mare è per Gesù, lui è solo e deve attraversare quel mare per liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato, Egli solo può vincere le paure che si porta dentro per ogni uomo. Allora, durante la celebrazione della Pasqua ebraica Gesù compie il rito ma fa suo quel momento, ed è il momento in cui sta stabilendo la nuova ed eterna alleanza ed aggiunge alla preghiera due frasi: “Prendete questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”. In questa cena manca l’elemento importante, l’agnello da immolare. Certo, manca perché da ora in poi non sarà sacrificato più nessun agnello o animali, da questo momento il vero agnello immolato è Gesù che si sacrifica una volta per tutte, Egli è il sacerdote eterno al modo di Melchidesech e entrando nel Tempio Santo di Dio, non fatto di uomo, offre il sacrificio perenne per tutti. Ma adesso con l’immagine del pane e del vino, Gesù fa della sua vita un dono. Gesù dice: “Sì, sono io quel pane che viene spezzato. Sì, sono io quel vino che viene versato. La mia fedeltà mi sta portando verso quest’estrema conseguenza della mia vita. Ma se deve succedere così, perché non può compiersi come il morire del grano del campo, come il morire dell’uva sui colli, che nella morte ringiovaniscono e nel morire risorgono? Desidero che la mia vita sia come il grano, che si dona e diventa alimento, vita, per molte persone. Desidero che dal mio morire, che dal mio andare fino in fondo, altri gustino la vita. Desidero che la passione della mia vita, il mio vibrare e il mio sangue siano ebbrezza, gusto, fuoco per altre persone. Vorrei essere per tutti voi un po’ di pane e un po’ di vino. Vorrei che la mia vita, che sta per finire, diventasse per voi e per il mondo alimento, vita, sapore, gusto, senso e felicità”. Con queste parole Gesù affronta la sua sofferenza. Non gli sarà tolta: niente esternamente cambierà. Ma tutto sarà diverso, perché adesso c’è una preghiera, un senso su ciò che sta per accadere. “Nonostante tutto, al di là di tutti i motivi razionali, il tuo dolore sarà qualcosa di buono. Saprai, come nel pane e nel vino, che ciò che è frantumato crea nuova vita. La tua sofferenza diverrà nuova vita; anche se perdi la vita non morirai e, se ti lascerai portare, dalla tua morte tu meravigliosamente risorgerai a nuova vita”. Cosa poteva donarci di più Gesù? Gesù non ci ha donato solo delle belle parole, dei bei miracoli, dei bei discorsi. Gesù si è donato lui stesso a noi. Questo è il vertice della vita. Quando non ti dono più delle cose, dei regali, alcune parti mie (l’intelligenza, la mia simpatia, i miei soldi, il mio fascino), ma ti do, ti dono, tutto me stesso. L’amore è donarsi. L’amore vuole darsi e darsi del tutto, fino alla fine, completamente. La vita che c’è in noi vuole darsi fino a viversi tutta. In ogni eucaristia noi celebriamo questo: l’eucaristia è un amore donato. E in ogni amore donato noi celebriamo un’eucarestia.
14, 26-42: il Getsemani. “Ho paura di morire e di morire da solo”. Gesù dopo aver istituito l’ultima cena (eucarestia), si reca con i suoi in un luogo fuori la città, nel Getsemani, in aramaico significa (“frantoio per l’olio”), cioè un luogo degli ulivi. Notiamo, gli ulivi vengono utilizzati all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, il quale viene osannato “Figlio di Davide”, ora l’olivo diventa un segno di sconfitta, fra non molto sarà arrestato, torturato e infine ucciso. Tutto sembra dover finire. Ma Gesù qui viene per pregare. Prega il Padre che allontani quel calice ma subito si sottopone alla volontà del Padre. Sono due preghiere di abbandono, di affidamento al Padre. Ancora una volta Gesù avrebbe potuto fuggire, ma come le altre volte non lo fa e decide di andare fino in fondo alla sua missione. Riusciamo a percepire quasi il lamento, la paura di Gesù, che è terribilmente angosciato di fronte a ciò che dovrà affrontare di li a poco. E’ l’angoscia di ogni uomo, quella di finire nel nulla: “E se dopo non ci fosse niente?”. E’ l’angoscia della lotta per la vita: “Non voglio morire, proprio io che porto misericordia, unità, salvezza; proprio io che guarisco e apro i cuori e le anime; proprio io che sono il vento che fa riscoprire agli uomini il loro cielo?” Gesù sente avvicinarsi la sua ora, l’ora dell’angoscia del supplizio: “Lo scherno! Il dolore! La croce! Padre ho paura, salvami, se puoi fai passare altrove tutto questo, ti prego salvami!” Sente sopraggiungere il momento del tradimento, forse pensava anche per il povero Giuda che stava vendendo la sua vita a satana e non quella di Gesù. Padre io ho parlato di te alla gente, ho guarito nel tuo nome, ho alleviato e confortato i moribondi nel tuo nome, e ora che sono io ad aver bisogno di te, tu m i abbandoni? Permetti che il male vinca sul bene? Ma dove sei? Ma che Dio sei? Forse mi sono sbagliato, mi sono illuso? Mi sento abbandonato non solo dai miei ma anche da te! E’ la paura del fallimento. L’angoscia del dubbio terribile: “Ho parlato di un Dio che non c’è?”. Gesù continua ad essere in comunicazione con Dio, ma dall’altra parte tutte le paure, tutti i mostri interiori si materializzano. Da questo momento, per vivere come Gesù, ci dovremo confrontare con la paura della morte, della fine, del fallimento. Chi ha paura di morire ha paura di vivere. Per vivere bisogna aver guardato in faccia la paura della morte, esserci entrati dentro, averla affrontata e aver trovato ancoraggi più profondi. In queste righe della vita di Gesù notiamo come l’uomo Gesù affronta le sue paure, i suoi dubbi, i suoi fantasmi, i suoi perché, ma soprattutto l’abbandono di Gesù nelle mani del Padre. Ma in queste righe vediamo l’atteggiamento dei discepoli. Ci possiamo individuare noi in quei uomini. Mentre Gesù è attraversato da questi momenti bui, sofferenti, di paura, perplessità, i suoi si addormentano, non sono capaci di vegliare con il Signore. Loro vivono questo dramma con superficialità, non si accorgono di quanto sta accadendo. È un episodio che si ripete con i più fidati, Pietro, Giacomo e Giovanni. In un altro momento Gesù coinvolge i tre nella sua più intima vita, sul Tabor Gesù si trasfigura e Pietro riesce solo a dire: Signore è bello per noi stare qui, ……. Anche allora vivevano quell’evento con superficialità. Gesù li condusse per fargli sperimentare quello che sarebbe accaduto di li a poco. È la nostra superficialità. Come si fa ad essere superficiali in questi momenti? Bisogna proprio essere assenti nel cuore, per poter dormire! Gesù, ed è così umano qui!, chiede loro: “State con me; ho paura, so che non potete far nulla, ma almeno vegliate, non lasciatemi solo e in balia”. Ma essi dormono. Gesù si accorge che non può contare su nessuno. E’ il momento della solitudine. Nessuno gli è vicino; nessuno lo comprende; nessuno lo consola. Gesù non può contare su nessuno. Eppure un giorno Gesù si “farà vedere” a questi amici che lo hanno tradito; si consegnerà a loro; non smetterà di credere nella bontà e nella loro possibilità di fare il bene e di vivere la verità e la libertà. Gesù, qui abbandonato da tutti quelli che dicevano di amarlo, ha fiducia in quei suoi amici. L’uomo, nel profondo, è buono; l’uomo nel profondo ama la verità, la libertà, la vita. E se può vincere le sue paure e la sua angoscia, vivrà senza tradire la sua vita. Gesù “vede” tutto questo: adesso lo tradiscono, ma lui vede più in profondità. Per questo è possibile con-fidare nell’uomo, nonostante tutto!
14, 26.-31. 66-72: il tradimento di Pietro. Pietro è la roccia (Cefa’, Pietro, roccia); Pietro è colui che ha detto nel cenacolo: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. E’ l’uomo tutto di un pezzo, diremmo oggi, d’azione, uno che la paura la reprime. Forse a causa del suo lavoro da pescatore, chissà quante volte si sarà trovato nella bufera, nelle acque agitate, e poteva avere la paura, doveva mantenere i nervi saldi. Ma Pietro è un uomo come tanti, e come tanti ha paura: Pietro non la sente, la reprime, ignora totalmente alcuni sentimenti, che lo faranno agire, poi, così. Pietro rappresenta la nostra rettitudine morale, religiosa, il nostro credere di essere fedeli, la nostra esuberanza che ci fa dire: “Capiteranno agli altri queste cose, non di certo a me, io ho una fede salda, io darei la mia vita per il Signore!”. Pietro rappresenta la banalità con cui la gente si conosce, un idealismo e una superficialità che si dissolve di fronte alla vita. Gesù perdona Pietro prima ancora che lo tradisca. Come a dire: “Pietro non presumere troppo da te. Sii cosciente di ciò che sei. Sii cosciente che i tuoi alti ideali non sono radicati nella tua anima. Si, tu parli tanto, ma sono ancora parole Pietro: prima o poi, tutto verrà a galla!”. E finché Pietro non si rende per davvero conto di ciò che lui è, di ciò che ha potuto fare, non può percepire che l’amore di Gesù e di Dio è più grande del nostro fallimento, del nostro sbaglio (e che sbaglio!) e del nostro errore. Dio non ci chiede di essere perfetti; ci chiede solo di essere umani, consapevoli di ciò che abbiamo dentro, dei nostri sentimenti, delle nostre paure e delle nostre fragilità. Perché ogni volta che presumiamo di noi allora, anche noi, spinti dalle nostre paure inconsce lo tradiremo dicendogli: “In verità, non ti conosco; non so cosa vuoi dire”. E non ci accorgeremo dei nostri tradimenti!
Pietro, in quanto primo Papa, rappresenta la chiesa, i cristiani. Di fronte al pericolo si defila. Finché le cose vanno bene, sono facili, allora è semplice seguire Gesù. Quanti lo hanno seguito finché predicava, finché guariva. Qualche giorno prima era entrato a Gerusalemme tra canti, palme e ulivi. Ma adesso? Quando c’è da mettersi in gioco, da mettere in gioco quello che si è, da cambiare, da convertirsi, da trasformarsi, quando c’è il pericolo delle proprie scelte, allora la chiesa può agire come Pietro: rinnegare la verità, far finta di niente, tradire la propria strada. Quante volte si impreca, si spergiura, quante volte ci si difende con tutte le forze e ci si ribella quando seguire Gesù è pericoloso, è compromettente, doloroso, controcorrente! Quando Gesù ci chiama a testimoniare di persona, con la nostra vita, allora com’è facile tirarsi indietro! “Non so, non capisco cosa vuoi dire”! Quant’è facile nascondersi dietro a questa frase! Il gallo molto verosimilmente è una aggiunta figurativa e non reale. Il gallo rappresenta la voce della nostra coscienza che ci richiama, come a Pietro una, due, tre volte sul nostro operare, agire. Il gallo è la voce dell’innocenza che c’è nel cuore di ogni uomo che canta nel momento che dovrebbe zittire, e invece canta, canta la melodia della verità. Pietro, (ora ripeti il tuo nome) …………., dicevi che nulla ti avrebbe turbato, “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”, vedrai che ti seguirò ovunque tu vorrai; ed ora che il Signore ti chiama tu dormi? Scappi? Lo abbandoni? Lo rinneghi? Ma Dio conosce la tua condizione di uomo fragile, fatto di paura, ed è per questo che Gesù ti ha già perdonato. È il perdono del Signore scaturito dalla croce che farà sgorgare fiumi di lacrime a Pietro. Pietro l’uomo forte ora è dinanzi alla sua paura perfino di poter accettare il perdono di Gesù.
14, 43-52: l’arresto di Gesù. “L’infamia e la falsità”. Osserviamo semplicemente come si scagliano contro Gesù. Va da lui “una folla con bastoni e spade”. Giuda, uno degli apostoli, lo bacia e lo tradisce, chiamandolo “Rabbì, maestro”. Gli mettono “le mani addosso e lo arrestano”. “E tutti, poi, abbandonandolo, fuggirono”. E’ l’infamia, il giudizio, della folla, della gente; del detto per sentito dire; di chi si scaglia e attacca per cose riportate da altri; del perché sembra, perché qualcuno ha detto. E’ l’infamia di chi ti ferisce e ti bastona senza motivo. E’ la falsità di chi ti sembrava amico. Di chi ti bacia (certi baci sono proprio come quelli di Giuda!), di chi ti sorride, di chi ti incensa e poi ti tradisce. E’ la meschinità di chi nel pericolo se ne va: “Che si arrangi, non sono affari miei”.
14, 53-65: Gesù davanti al sinedrio. Spesso mi è capitato di assistere a processi in Tribunale, e vedevo persone che davvero avevano commesso grandi colpe ma delle volte che vi erano dei poveri uomini. Tutto è concordato, tutto è deciso, ormai quello che si deve fare è deciso. Gli uomini sono bravi a costruire castelli di prove contro i deboli, contro coloro che in qualche modo sono segnati dalla giustizia umana. Capita anche a Gesù. È stato catturato come uno dei peggiori delinquenti del tempo; ora viene condotto dinanzi alle autorità religiose, a coloro che presumono di conoscere la volontà di Dio, ma in realtà conoscono a mala pena la loro volontà, visto che non trovano alcuna accusa su Gesù, tanto da doversi procurare falsi testimoni. È la religione che parla nel sinedrio non la voce di Dio. Qui Dio è stato messo fuori, Dio non può prendere parte a questa adunanza che avviene di n otte, nell’oscurità, è l’ora delle tenebre. Ma alla fine sembra che il male abbia trionfato, sono riusciti a trovare l’accusa: si è proclamato figlio di Dio! Non hanno più bisogno di altro, hanno ciò che serve per condannarlo. Tutto il male che hanno nei loro cuori ora possono scagliarlo contro un innocente, un Caprio espiatorio. Ora possono condurlo dinanzi all’autorità, al potere civile – politico: Pilato.
15, 1-15: Pilato. “Il vero potere”. Gesù è stato giustiziato dai Romani. Ma quale ruolo hanno avuto nella morte di Gesù? Difficile dire quanto Pilato abbia influito. Pilato coglie la forza, la profondità dell’uomo che ha davanti e anche l’inganno che stanno per tendergli. Pilato coglie “l’invidia”, l’odio con cui glielo hanno consegnato. Potrebbe lasciarlo andare. Lui sì che potrebbe fare qualcosa. Lui decide, lui può decidere per la vita o per la morte di Gesù. Fa anche un flebile tentativo: “Volete che vi rilasci il re dei Giudei?”. Ma sa già la risposta: perché altrimenti non glielo avrebbero consegnato. Cerca di acquietare la sua coscienza, di dire: “Io ho fatto quello che potevo. Di più non mi era possibile”. Ma prendere le parti non sarebbe una decisione politicamente saggia. Sarebbe compromettersi, e con un popolo come quello ebreo non è bene. Saggio è, invece, accontentarli. E lo fa. L’unica cosa che gli interessa è il potere, aver meno problemi possibili e non incrinare i rapporti politici. Pilato sembra comandare, essere il potente, e, invece, è intrappolato nel gioco del consenso, dell’approvazione, del successo, del possesso, del detenere il potere. Sembra comandare, sembra essere il re e, invece, qui vediamo un uomo con grande potere ma che non può esercitarlo, il vero potere lo hanno i religiosi, loro si perché possono sobillare il popolo. Per questo resta prigioniero di un modo di comandare da parte dei religiosi. Gesù, invece, è il vero re: è l’uomo libero, liberato dalla paura della morte, del giudizio e dell’apparire. Pilato, invece, non può deludere; non può manifestare il suo dissenso; non ha il coraggio di prendere una posizione chiara; cerca un compromesso, ma cede subito; è l’uomo che si omologa, che va dove vanno tutti. E si crede il re. Si crede il governatore, si crede di avere il potere. Quale potere?
15, 24-38: la crocifissione e la morte. “Guardare la croce per capire”. La croce è lo scontro fra due religioni: quella di Gesù e quella degli ebrei. La religione dei farisei e degli scribi è la religione della forma, della maschera. Qui contano i grandi numeri, l’istituzione, l’ordinamento e l’obbedienza. Non importa se le leggi distruggono le persone o li appesantiscono di sensi di colpa o di fardelli insopportabili. Ciò che conta è la legge, il rispetto ossequioso alla norma. La croce è per molti «scandalo» e «follia», ma proprio la ragione del suo scandalo – l’amore gratuito, misericordioso e onnipotente di Dio per gli uomini – è per i credenti la ragione della sua potenza e della sua verità. La croce ha due facce, l’apparente sconfitta e la vittoria, il Crocifisso e il Risorto. Mostra tutta la malvagità e la miseria dell’uomo che non esita a condannare il Figlio di Dio innocente; ma anche tutta la profondità e l’efficacia del perdono di Dio. L’ultima parola non è il peccato, ma l’amore! Qui, e non altrove, va cercata la vera ragione della speranza cristiana, la lieta notizia che dà senso e spessore alla vita e alla storia, nonostante i fallimenti. Ma è una lieta notizia che esige conversione. Le folle – dice l’evangelista Luca narrando la passione – accorrono, guardano e ritornano «battendosi il petto» (23,48). Lo «spettacolo» della croce capovolge la vita. Fa contemplare la profondità inaudita dell’amore di Dio, e fa comprendere che la nostra vita deve assomigliare alla vita di quel Crocifisso che si dona senza riserve, che, rifiutato, ama e perdona, e non rompe la solidarietà con chi lo rifiuta. L’evento della Redenzione operata da Cristo con la sua morte e risurrezione occupa il posto centrale in tutta la storia della salvezza. Invitati a fare una speciale memoria della Redenzione affinché essa penetri più a fondo nel nostro pensiero e nella nostra azione, cercheremo di approfondire il significato di Croce e di Crocifisso dal momento che Cristo, venuto nel mondo dal seno del Padre, per redimerci ha offerto se stesso sulla Croce in un atto di amore supremo per l’umanità. Il significato della croce. Il simbolismo teologico della croce appare nel NT in una parola di Gesù stesso riferita dai Sinottici e negli scritti di Paolo e di Giovanni. Gesù disse che coloro che lo seguono devono prendere la propria croce (Mt 10,38; 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23; 14,27); così perderanno la loro vita, per acquistarla (Mt 10,39; 16,25; Mc 8,34; Lc 9,24). Non si tratta soltanto di un’allusione alla propria morte, ma anche dell’affermazione che la sequela di lui esige il rinnegamento di sé (Mc 8,34), il totale disprezzo della propria vita, del benessere, dei beni personali, ai quali si deve rinunciare se si vuole seguire Gesù. La croce di Cristo è pensata da Paolo come evento salvifico che trasforma radicalmente il mondo e ne determina in maniera del tutto nuova il volere e l’agire. Il vangelo, per Paolo, è nel suo centro e nella sua totalità logos tou stauroú, cioè annuncio salvifico che ha per contenuto la croce di Cristo (l Cor 1, 17s; cf. 2, 1s; Gal 3, 1). Con queste parole Paolo vuol dire che la croce non dev’essere intesa come un puro fatto immanente alla storia, bensì come intervento di Dio; tale intervento si realizza in questo, che la croce di Cristo si presenta agli uomini come «parola» di Dio, come il suo messaggio liberatore e nello stesso tempo vincolante. Il messaggio della croce porta la sotería, la salvezza (l Cor 1, 18b; 1, 21b). La porta però ai credenti, cioè a coloro che nell’ubbidienza si sottomettono al giudizio che Dio pronuncia nella croce di Cristo (1, 19 ss) contro la sapienza del mondo autosufficiente, la quale ricerca esclusivamente se stessa e mira ad accrescersi anche attraverso esperienze religiose; la porta a coloro che lasciano mortificare il proprio io dalla parola della croce (Gal 6, 14; cf. 2, 19). Questo messaggio salvifico, che giudica e libera a un tempo, apparirà altrettanto «scandaloso» a greci e giudei quanto anche a una cristianità aberrante, sia essa innamorata delle proprie esperienze religiose (1Cor) oppure caduta in un legalismo rinnegatore della croce di Cristo (Gal). Il vangelo si concentra dunque tutto sulla croce di Cristo, e ben lo dimostrano le parole di Fil 2, 8: l’inno che Paolo ha ripreso dalla tradizione (2, 6-11) e parla della rinuncia di colui che è uguale a Dio per umiliarsi nell’ubbidienza fino alla morte. Ma Paolo non si contenta di parlare della morte, e completa: fino alla morte di croce (thanátou de stauroú). Quando la Chiesa percorre vie aberranti, non basta parlare del «Cristo»; questi potrebbe sempre essere equivocato come un Cristo che è estraneo al mondo e che aliena dal mondo (cf. 1/2 Cor). Al Christós Paolo aggiunge con tutta evidenza estaurômenos, in quanto crocifisso, per non dar luogo ad equivoci (1Cor 1, 23; Gal 3, 1). Di più: sulla base di un giudizio teologico riflesso, Paolo, nella sua attività missionaria a Corinto, non lo ha voluto conoscere e predicare se non crocifisso (1Cor 2, 2). Oggetto del gloriarsi e della fiducia non è altro che la croce di Cristo (Gal 6, 14). Concretamente, questo significa che Paolo ama gloriarsi soprattutto delle proprie debolezze (2Cor 12, 9s). E la risurrezione? In tutto questo è compreso appunto anche il suo significato concreto. Essa fa sentire la sua presenza nel fatto che Paolo possa annunciare il Cristo crocifisso come l’evento salvifico decisivo. Il Risorto non ha affatto eliminato il Crocifisso. No, la sua autoumiliazione e la sua ubbidienza nella vergogna della morte di croce non sono cancellate, bensì poste in vigore dall’elevazione come segno di salvezza (Fil 2, 8ss). Cristo, che si è fatto carico di questa debolezza e per questo è stato crocifisso, vive ora per la forza di Dio che ricrea le cose e fa risorgere i morti (2Cor 13, 4). I credenti, che ora partecipano di questo nuovo modo di esistenza determinato dalla croce di Cristo, vivono con la fondata speranza che Dio agirà con loro come ha fatto con Cristo. Anzi, già fin d’ora questa vita di resurrezione capace di vincere la morte, vita che viene da Dio, si manifesta nell’esistenza della fede segnata dalla croce e si comunica agli altri (2Cor 4, 7-12). Se la forza di Dio non si fosse manifestata e resa efficace sul fondamento della morte di Cristo, la vita crocifissa dell’apostolo (1Cor 15, 30-32) sarebbe la più compassionevole delle illusioni (15, 19). Nemici della croce di Cristo»: questo il nome che Paolo dà ai cristiani che aspirano alle cose terrene, la cui esistenza non è animata dal messaggio salvifico della croce di Cristo e ispirata all’esempio dell’apostolo che lo incarna (Fil 3, 17-19). Sono coloro che non si lasciano alle spalle come immondizia il modo di vivere ispirato alla legge per essere nella sfera salvifica del Cristo crocifisso, che rifiutano quindi di avere dimestichezza come Paolo con le sofferenze di Cristo e non si uniformano alla sua morte (3,7ss). Paolo predicava dunque Cristo, e Cristo crocifisso, benché fosse scandalo per gli Ebrei e follia per i gentili (1 Cor 1,23; 2,2). Non voleva predicare il vangelo della croce in un linguaggio raffinato, per non privare la croce del suo valore (1 Cor 1,17). Benché la stoltezza della croce sia un assurdo per coloro che senza di essa si perdono, è invece potenza di Dio per i salvati (1 Cor 1,18). Se Paolo avesse predicato la circoncisione, lo scandalo della croce non ci sarebbe stato (Gal 5,11): Paolo vuol dire che la croce, che è uno scandalo per gli ebrei, perde il suo valore redentivo se la circoncisione è ancora necessaria. L’unico motivo di gloria per Paolo è la croce di Gesù Cristo (Gal 6,14). Nella croce Gesù ha unito giudei e greci (Ef 2,16). Alcuni falsi apostoli sono nemici della croce di Cristo (Fil 3,18); questa espressione indica probabilmente quei giudeo-cristiani che insistevano sull’efficacia della circoncisione. Dio ha annullato il debito dell’umanità verso di sé inchiodando Cristo alla croce, facendolo cioè vittima di quel debito (Col 2,14).
15, 38-41: il centurione e le donne. Sotto la croce ci sono le donne, la madre di Gesù, i soldati, i religiosi, la gente. La gente non sa che cosa dire, hanno visto poco, sanno poco di quest’uomo, qualcuno un po’ di più se lo ha seguito, quindi stanno li e osservano. accade anche oggi, quanta gente viene in Chiesa e resta solo come spettatore senza capire cosa avviene. Le donne insieme alla madre che vivono con intensità il dolore di Gesù e cercano in qualche modo di dare consolazione a Maria. C’è un terzo personaggio, il centurione che è sempre stato addestrato a ricevere gli ordini e a obbedire senza battere ciglio. È un soldato, diremmo oggi un militare, e cosa può fare? Lui ha deciso di non prendersi la responsabilità di agire con la propria testa, meglio obbedire così per ogni cosa la responsabilità cadrà su chi ha ordinato. In qualche modo fa quello che altri fanno e si accontenta. Cosa dicono gli altri? È colpevole! È colpevole, ed è diventato inconsapevolmente partecipe di quella tragedia, quindi colpevole di aver crocifisso Gesù. Il soldato vede ma non può vedere perché gli occhi con i quali vede sono quelli degli altri a differenza delle donne che vedono con i loro occhi e vivono fin nell’intimità del loro cuore il dramma che si sta consumando. Ma quel soldato guardando la croce vede un uomo che nel suo dramma invoca il perdono del Padre su di lui, su coloro che lo hanno appena crocifisso e forse sono gli stessi che lo hanno fustigato all’inverosimile fino a contare le sue ossa.
15, 42-46: Giuseppe d’Arimatea è unuomo autorevole del sinedrio al pari di Nicodemo. Non ha conosciuto Gesù, non lo ha incontrato di notte come Nicodemo, però, ha seguito il suo percorso a Gerusalemme, lo ha sentito parlare e probabilmente le sue parole hanno colpito il cuore di quest’uomo. Sa che quel dramma nasconde una ingiustizia dei religiosi, ed è per questo che si allontana dal giudizio del sinedrio. E’ l’uomo che non ha saputo schierarsi quand’era ora. E’ rimasto, membro autorevole, nel sinedrio. Ma amava e intuiva la verità della pretesa di Gesù. Non si è compromesso. E adesso, adesso che più niente può, va coraggiosamente da Pilato a chiedere il corpo. (Le salme dei giustiziati dovevano essere deposte in cimiteri appositi solo con altri malfattori. Lì rimanevano decomponendosi per un anno. Dopo di che la colpa poteva dirsi espiata e le ossa potevano essere raccolte nelle tombe della famiglia. In ogni caso il lutto era vietato). Adesso si rende conto e offre la sua tomba. Adesso vive il peso del rimorso di non aver osato, forse, a far di più e aver dato ascolto alle masse, agli altri. Adesso lascia ogni compromesso, ogni equilibrio e si schiera apertamente. Adesso si mette apertamente dalla parte di Gesù. Perché ogni volta che non ci schieriamo, che non prendiamo una posizione, come Giuseppe d’Arimatea, ci rendiamo colpevoli di ciò che accade, in balia della nostra paura di comprometterci, riempiendoci di sensi di colpa e di rimorsi per ciò che avremmo dovuto fare e che non abbiamo fatto. Bisogna prendere una posizione. Bisogna schierarsi, non si può essere neutrali, con un piede di qua e uno di là. “Fai la tua scelta”.
15, 46: le donne continuano ad osservare quell’uomo appesa alla croce, all’amore che non si arrende, all’amore che non può credere alla fine, alla morte. Chi vive nell’amore conosce l’eternità. Anche quando tutto sembra dire il contrario, anche quando tutto sembra finito, l’amore conosce l’eternità. L’amore vuole “per sempre”. Queste donne non si arrendono all’evidenza dei fatti perché conoscono l’evidenza del cuore, dell’anima, della vita e di Dio. E proprio per questo sperare al di là di ogni speranza; per questo credere al di là di ogni ragionevole credenza; per questo amare al di là della fine, proprio loro saranno le prime testimoni della resurrezione. Avevano visto bene: l’amore è più forte.
Pensiero della Settimana
Guardando la croce, credi che li è stato inchiodato l’Amore?
Le parole dette da Gesù “Padre perdona loro che non sanno quello che fanno”, ti dicono del tuo peccato?
Guardando alle piaghe di Gesù, credi che puoi trovare la tua salvezza?
Vivi la tua Pasqua di resurrezione e troverai la vita eterna.