È morto Carlo Caffarra, il cardinale che poteva essere ricordato per tante cose ma che invece lo sarà solo per i Dubia. Egli, insieme a Burke, Brandmüller e Meisner (anche lui defunto da poco), è stato uno dei quattro porporati a spedire una lettera al Papa – prima privata poi, visto che rimaneva inascoltata, pubblica – nella quale esponeva i propri dubbi (in latino, Dubia) circa alcuni aspetti di Amoris Laetitia. Per tale ragione è stato dipinto come “avversario” di papa Francesco tanto che le cronache riferiscono di lui queste parole: “Io contro il Papa? Preferirei si dicesse che ho un’amante”. Non posso testimoniare l’autenticità di queste parole ma posso dire che se non sono vere sono assolutamente verosimili.
Durante gli anni dei miei studi ecclesiastici, ebbi Caffarra come professore di teologia morale e conservai per anni gli appunti delle sue lezioni. Che erano, nelle sue intenzioni, la cosa più simile possibile alla logica formale. Se A non è B, B non è A: tertium non datur (non c’è altra possibilità). Il suo mondo era il regno aristotelico del principio di non contraddizione sviluppato fino alle ultime conseguenze. Con coerenza assoluta, estrema, maniacale. Sta tutta qui la forza e la debolezza di un pensiero che avendo la precisione millimetrica del parallelepipedo, nella nostra società liquida può essere ammirato ma solo quando giace sul fondale. Soprattutto perché il contenuto di questi sillogismi non erano quelli dell’algebra formale ma quelli riguardanti questioni come l’amore, il sesso, il corpo, il matrimonio, il perdono, la misericordia, la confessione, la grazia: il Mistero, cioè, in fin dei conti.
Capisco perfettamente che Papa Francesco non abbia dialogato con i dubia di Caffarra e soci. Non poteva farlo. Il suo magistero è aperto, non definitorio, volutamente inclusivo di interpretazioni che paiono, a volte, contrastanti. In Evangelii Gaudium, il documento programmatico del suo pontificato, il vescovo di Roma stabilisce quattro principi e uno di essi è che “la realtà è più importante dell’idea” (EG nn. 231-233). È in questa distanza dove la logica formale di Caffarra si perdeva. I sillogismi sono importanti ma non arrivano dappertutto. Il mondo di Caffarra era molto più il mondo dell’ aut -aut che il mondo dell’ et-et. La battuta di Caffarra – “Io contro il Papa? Preferirei si dicesse che ho un’amante ” – è intelligente, fa sorridere. Ma allontana. Perché, quante sono, oggi, in Italia, le persone che rispetto al Papa o rispetto agli amanti hanno delle posizioni “sì ma anche no”? È un’espressione cioè che nel pensiero del cardinale defunto descrive due situazioni cui viene attribuita in prima istanza una connotazione valoriale negativa che addirittura, in un secondo momento, viene comparata ottenendo un risultato meglio/peggio, perdente/vincente: ma quante persone nell’occidente attuale si sentono interpellate, chiamate al dialogo, da un tale sistema assiomatico? Credo, davvero molto poche.
Ma, per un cristiano, la questione del “quante persone ascoltano le mie parole” non è una questione di successo, di numeri, di audience, di share, di auditel. È la questione della missionarietà. Perché Cristo invita i suoi discepoli ad arrivare a tutti, ma proprio a tutti. Anche a coloro che pensano che un pezzo di realtà rimane non raccontato se si utilizza solo lo strumento della logica formale, del principio di non contraddizione e del sillogismo. Perché sul suolo devi camminare ma nell’acqua devi nuotare. Avere come professore Caffarra è stato utile, mi ha dato uno scheletro. Ma oltre lo scheletro ci vuole la carne.