Mi incuriosisce Quando, il nuovo romanzo di Walter Veltroni che racconta di un uomo che ai funerali di Enrico Berlinguer prende un colpo alla nucca, perde conoscenza e si risveglia dopo trentatré anni. Mi attira la riflessione sul nostro rapporto con il tempo: non quello della fantascienza ma quello reale, quotidiano, che scorre inesorabile adesso, secondo dopo secondo, mentre scrivo e mentre leggo.
Quando esce dal coma, Giovanni, il protagonista, deve confrontarsi con un’enormità di tempo trascorso senza che se ne accorgesse: e questa iperbole narrativa mi interroga sui minuti e le ore che passano senza che io li viva. Grammi o chili di tempo che, dopo un po’, diventano quintali e tonnellate. Diventano anni e decenni interi di vita passati con il rischio di non viverli.
Da un po’ il mio segreto è quello del presente vigile. Il tempo della vita pienamente vissuta è il presente vigile.Perché Dio è eterno presente e per vivere sulle sue orme devo vivere a sua immagine un presente vigile. Senza malinconia e blocchi per il passato e senza fughe in avanti: sì a memoria e speranza, sì ai progetti se però nascono avendo i piedi ben radicati sulla terra. Io immagino la mia vita come un sentiero, uno di quelli che percorro quando cammino in montagna insieme agli amici magari in ore ancora notturne, quando l’alba ancora non è sorta. Allora la torcia elettrica che reco con me deve illuminare la terra, il sentiero, e devo vincere la tentazione di scrutare con la mia piccola luce la valle.
Se cadessi nel desiderio di volerla misurare con la mia debole luminosità non ci riuscirei e, per di più, non vedrei più dove metto i piedi. Lo sforzo deve essere di non crogiolarmi nelle fragili vittorie di una volta e di non essere chiuso nelle sconfitte che ci sono in ogni passato ma di trasformare tutto ciò, gioie e dolori, in memoria. Allo stesso modo devo essere attento a non cadere nell’utopia del futuro ma a cercare di guardare con attenzione le svolte del sentiero, i segnali, gli indizi, le giravolte.
La mia piccola torcia non illumina la valle ma il prossimo passo sì: e un po’ anche a quello successivo. Niente di più e niente di meno. È minimalismo rinunciare a governare l’ampiezza del sentiero, accettare che sono io ad essere misurato da esso e che non sono io a misurarlo? Non lo so, ma credo sia così, che sia la realtà. Per la mia fede questo atteggiamento si chiama “fidarsi di Dio Padre” ma qualcosa di simile esiste anche in altre religioni e in altri modi di vedere e di vivere. Alcuni lo chiamano Karma, altri Destino o Fato. Sono i diversi nomi con cui chiamiamo la realtà e il nostro rapporto con essa. Che deve essere sempre quello di “esserci”: di essere presente.
Tratto da Agi