Che significa “generato non creato, della stessa sostanza del Padre” e…

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Fonte dell’articolo Amici Domenicani – Autore Padre Angelo Bellon op.

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Quesito

Caro padre Angelo,
le scrivo perché vorrei porle due domande. 
La prima riguarda Gesù. Il credo cosi recita: generato, non creato, della stessa sostanza del padre. In che senso Gesù è stato generato e non creato? E che differenza c’è tra generazione e creazione? La seconda riguarda il libro del Qoe’let. Nel terzo capitolo,  al versetto 19 si legge: infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un soffio vitale per tutti. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità. 
So che alcune sette usano questo versetto per negare l’esistenza dell’anima e la vita dopo la morte. Vorrei chiederle cosa intendeva dire lo scrittore sacro, qual era il suo messaggio nel contesto dell’epoca, e come lo interpreta la dottrina cattolica. Ovviamente ancora non siamo nel pieno della rivelazione di Dio all’uomo, che avverrà con Gesù, vero Dio e vero uomo.
Vorrei capire meglio perché questo passo mi ha mandato un po’ in crisi. 
La ringrazio per la sua disponibilità e gentilezza
Preghi per me 


Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. quando diciamo la parola “generato non creato” non dobbiamo intendere la generazione del Figlio di Dio in un modo simile a quello della generazione degli uomini i quali per essere generati richiedono la preesistenza dei loro genitori.

2. Per comprendere questa espressione è necessario riferirsi all’attività della nostra mente, la quale pensando genera dei concetti.
L’attività della nostra mente assomiglia pertanto ad un concepimento, nel senso che genera, esprime dei pensieri.
Talvolta parlando di un elaborato di filosofia o anche semplicemente di un tema capita di dire: questo è il parto della mia mente.

3. Ebbene, proprio questa espressione ci fa comprendere qualcosa di più circa la parola generato riferita alla seconda Persona Divina.
La seconda persona della Santissima Trinità è il pensiero di Dio, la conoscenza o anche il concetto che Dio ha di se stesso.
Dio nella sua mente conosce perfettamente se stesso. La conoscenza che ha di se stesso è grande quanto è grande Lui, perché nulla gli sfugge.

4. Questa conoscenza che Dio ha di se stesso è eterna come è eterno Dio.
È uguale a Dio.
È della stessa natura di Dio.
È Dio.

5. Se questa conoscenza che Dio ha di se stesso la chiamiamo concetto, e cioè concepito, ecco perché il pensiero di Dio viene chiamato Figlio: perché è generato nella mente stessa di Dio.
E se il pensiero lo chiamiamo Figlio, Colui che pensa lo chiamiamo Padre.

6. Poiché è Dio, ed è eterno quanto è eterno Dio, proprio per questo non è creato.
Per questo si dice “generato, non creato”.

7. E poiché è Dio stesso, diciamo che è della stessa sostanza del Padre, della stessa sostanza divina.
Non è un secondo Dio, un altro Dio, ma è il pensiero di Dio, il concetto di Dio, una cosa sola con Lui.

8. Venendo adesso alla seconda domanda, è opportuno anzitutto riportare il testo sacro: “Poi, riguardo ai figli dell’uomo, mi sono detto che Dio vuole metterli alla prova e mostrare che essi di per sé sono bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso il medesimo luogo: tutto è venuto dalla polvere e nella polvere tutto ritorna.
Chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?” (Qo 3, 18-21).
Qui l’autore sacro parlando di soffio vitale fa riferimento al corpo e dice che l’uomo e la bestia respirano nel medesimo modo, hanno lo stesso alito, segno di vita.
Sotto questo aspetto l’uomo non è superiore alla bestia, il suo soffio vitale cessa come cessa quella della bestia.
Per cui la vita dell’uomo, quanto alla sua materialità, è una vita caduca, effimera, come quella degli animali. Se ne va, come se ne va a la loro.

9. È erroneo tuttavia pensare che il Qoeleth riduca l’uomo soltanto al suo aspetto materiale. Infatti al capitolo 12º, che è l’ultimo del libro del Qoeleth,  abbiamo un riferimento preciso al rapporto dell’uomo con Dio.
Questo capitolo 12º inizia così: “Ricòrdati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi”.
Qui ricordarsi non significa semplicemente averlo sulle labbra o pensarlo con la mente, cosa che possono fare anche i cattivi e gli stessi demoni, ma soprattutto adorarlo, dargli culto e obbedirgli.
Qui si vuol dire che nei giorni della giovinezza è necessario formare quelle buone virtù e cioè quelle buone disposizioni dell’anima che sostengono la fede anche nei giorni della sofferenza.

10. Soprattutto al versetto 9 l’autore sacro manifesta la netta superiorità dell’uomo sulla bestia. Dice infatti: “(Ricordati del tuo creatore prima che) ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato” (Qo 12,7). Vale a dire: prima che il corpo ritorni alla terra e l’anima a Dio che l’ha creata.
In altre parole, ciò che viene dalla terra ritorna alla terra e ciò che viene da Dio ritorna a Dio.

11. La Bibbia di Gerusalemme conclude così: “Il libro termina così com’era iniziato, ma si fa un resoconto del cammino percorso. Ha reso cosciente l’uomo della sua miseria, ma anche della sua grandezza, mostrandogli che questo mondo non è degno di lui. Spinge l’uomo a una religione disinteressata, a una preghiera che sia l’adorazione della creatura cosciente del suo nulla, in presenza del mistero di Dio” (cfr. nota a Qo12,8).
Come si vede, il messaggio che viene dal Qoeleth non è per nulla pessimista. Se lo si legge con lo spirito di Dio porta a considerare la caducità delle cose che passano e nello stesso tempo l’altezza della vocazione dell’uomo, chiamato a tornare nell’eternità da Colui che l’ha creato.

Mentre ti auguro di possedere in pienezza la sapienza che viene da Dio, ti benedico, ti auguro ogni bene e volentieri ti ricordo nella preghiera.
Padre Angelo

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P.Angelo Bellon op, docente di teologia morale.