Fonte dell’articolo mauroleonardi.it
Quando noi pensiamo al martirio, l’immagine che ci viene alla mente è quella dei primi cristiani uccisi perché non rinnegavano la loro fede in Cristo scegliendo gli idoli. Con il passare dei secoli lo Spirito Santo ha fatto comprendere alla Chiesa che anche compiere eroicamente il proprio dovere lavorativo è testimoniare la giustizia, la piena umanità: in fin dei conti, insomma, è sottolineare la fede in quel perfetto Dio e perfetto uomo che è Cristo.
Per questo, quando il 21 settembre 1990 il “giudice ragazzino” veniva assassinato mentre andava in tribunale, quell’omicidio della mafia agrigentina andava non solo contro un giudice ma anche contro la fede di quel magistrato.
Il martire tradizionale è quello che alla richiesta di abiurare Cristo “pena la morte”, preferisce morire piuttosto che abiurare: con questo genere di beatificazioni, Papa Francesco vuole sottolineare che il semplice offrire la vita per gli altri compiendo eroicamente il proprio lavoro – anche quello del giudice – è già un fatto di santità perché è amore e dove c’è amore c’è sempre Dio. A volte l’amore non sarà l’unica componente di quella azione ma non possiamo sbagliarci: ogni volta che c’è amore lì c’è Dio. E, perché ci sia Dio, non c’è bisogno che chi ama “sappia” che Dio c’è. Tutti quelli che vanno fino in fondo nel loro dovere, nella loro missione, in ciò che ritengono essere il senso e la giustificazione della loro vita, potranno essere dichiarati santi.