
Fonte dell’articolo mauroleonardi.it
Quasi esattamente un anno fa (eravamo al 12 maggio 2020) scrivevo del paradosso della libera conversione all’Islam di Silvia Romano. La cooperante italiana era stata rapita a Chakama, in Kenya, dai terroristi di Al Shabab, un gruppo affiliato ad al Qaeda, il 20 novembre 2018 e dopo 18 mesi di prigionia in Somalia, era stata liberata il 9 maggio 2020.
Lungo quel periodo la stampa e i blog italiani l’avevano seguita costantemente perciò desto grande clamore il suo scendere dall’aereo in vesta musulmana verde, ed il suo dichiararsi convertita all’Islam. Naturalmente non destava stupore la conversione in sé ma le modalità della medesima. In quell’epoca io scrivevo: “Tanto per avere un termine di paragone, se un adulto desiderasse convertirsi al cristianesimo sarebbe obbligato a chiedere alla Chiesa cattolica di essere preparato attraverso un percorso della durata almeno di due anni che, naturalmente, dovrebbe avvenire in condizioni di assoluta libertà. Cosa penseremmo di una persona che venisse rapita da una “setta cristiana” e che dopo diciotto mesi (nemmeno due anni…) una volta liberata dicesse di voler appartenere alla medesima setta dei carnefici? Tutti grideremmo alla violenza e nessuno crederebbe neppure per un’istante ad una vera conversione.” Per questo chiedevo che qualche autorità islamica sollevasse qualche dubbio su quel percorso religioso avvenuto in prigionia e puntualmente Asfa Mahmoud, l’Imam che guidava la Casa della cultura musulmana di via Padova a Milano, declinò i suoi dubbi.
Poche ore fa, però si è diffusa la notizia, che Silvia Aisha Romano non solo rimane convinta della sua conversione ma si sarebbe sposata con rito musulmano con Paolo P., un coetaneo italiano di origini sarde che conosceva da quando era piccola e che, prima di sposarla, si sarebbe an-ch’egli convertito all’Islam.
Oggi Aisha, che ha 26 anni, vive a Campegine, un piccolo centro di cinquemila tra Milano e Bologna, insegna lingue straniere (si era laureata poco prima di partire per l’Africa) agli adulti ed è felice.
Gioia dunque per Silvia Aisha e i migliori auguri di felicità a lei e al marito.
Lungo quel periodo la stampa e i blog italiani l’avevano seguita costantemente perciò desto grande clamore il suo scendere dall’aereo in vesta musulmana verde, ed il suo dichiararsi convertita all’Islam. Naturalmente non destava stupore la conversione in sé ma le modalità della medesima. In quell’epoca io scrivevo: “Tanto per avere un termine di paragone, se un adulto desiderasse convertirsi al cristianesimo sarebbe obbligato a chiedere alla Chiesa cattolica di essere preparato attraverso un percorso della durata almeno di due anni che, naturalmente, dovrebbe avvenire in condizioni di assoluta libertà. Cosa penseremmo di una persona che venisse rapita da una “setta cristiana” e che dopo diciotto mesi (nemmeno due anni…) una volta liberata dicesse di voler appartenere alla medesima setta dei carnefici? Tutti grideremmo alla violenza e nessuno crederebbe neppure per un’istante ad una vera conversione.” Per questo chiedevo che qualche autorità islamica sollevasse qualche dubbio su quel percorso religioso avvenuto in prigionia e puntualmente Asfa Mahmoud, l’Imam che guidava la Casa della cultura musulmana di via Padova a Milano, declinò i suoi dubbi.
Poche ore fa, però si è diffusa la notizia, che Silvia Aisha Romano non solo rimane convinta della sua conversione ma si sarebbe sposata con rito musulmano con Paolo P., un coetaneo italiano di origini sarde che conosceva da quando era piccola e che, prima di sposarla, si sarebbe an-ch’egli convertito all’Islam.
Oggi Aisha, che ha 26 anni, vive a Campegine, un piccolo centro di cinquemila tra Milano e Bologna, insegna lingue straniere (si era laureata poco prima di partire per l’Africa) agli adulti ed è felice.
Gioia dunque per Silvia Aisha e i migliori auguri di felicità a lei e al marito.
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